Lavorare per vivere, non vivere per lavorare: cos’è il Workaholic

Workaholic, traducibile come “ubriachezza”, “ossessione per il lavoro”, ma davvero può succedere? E, soprattutto, qual è il confine tra l’essere dediti ed appassionati verso il proprio lavoro e il workaholic?

Forse la risposta sta nei comportamenti. Infatti, si può lavorare più del dovuto per tanti motivi (per guadagnare di più, per mantenersi un posto di lavoro precario, per agevolare un avanzamento di carriera, perché è richiesto in modo indiretto dall’organizzazione ecc.), senza che ciò comporti conseguenze dannose alla persona, ma, in alcuni casi, un elevato numero di ore lavorative, ben oltre quelle richieste dai contratti, tale da rendere una persona completamente invischiata nella sua attività professionale, un sovrainvestimento personale sul lavoro, che, a lungo andare, sfugge all’autoregolazione, fino a produrre insoddisfazione ed effetti negativi sui rapporti familiari, sulla salute psicofisica e sulla vita in generale, possono essere segnali riconducibili al workaholic.

Ma cosa si può fare davanti a questa situazione? Le Terapie Brevi possono essere un valido aiuto per una presa di coscienza delle possibili trappole del sovrainvestimento sul lavoro e per stimolare strategie di autoregolazione dei propri impegni, per attuare un ragionevole distacco dal lavoro e per recuperare l’equilibrio tra le varie sfere di vita.

Il lavoro come male necessario?

Tanti lavoratori fanno lunghe ore di lavoro straordinario, ma poi riescono a coltivare relazioni significative, si prendono cura dei loro cari e godono di attività esterne nel tempo libero. Inoltre questo tipo di lavoratori provano un piacere intrinseco nel lavorare, a differenza dei workaholic, che sono indotti a lavorare troppo da una costrizione interna incontrollabile, manifestando spesso tensione, ostilità, delusione e sensi di colpa. A volte addirittura i workaholic nel lavorare tanto trovano un modo per compensare la paura di inadeguatezze personali in altri campi, oppure una scappatoia per evitare insuccessi, delusioni e relazioni o responsabilità indesiderate.

«Il lavoro nobilita l’uomo». Da qui parte l’autoinganno. Cosi’ il workaholic crede di trovare il senso dell’esistenza nella propria attività o nei suoi frutti.  Si dedica anima e corpo al lavoro trascurando molto di quello che gli sta attorno e si autoinganna ritenendo di fare il «giusto necessario». Prima o poi, se non si ravvede, è destinato a bruciarsi. Diventa un fantasma poiché sente di essere vivo solo nell’ambiente in cui muore. I workaholic non lavorano per vivere, vivono per lavorare.

Il che genera un altro autoinganno: «Sono bravo a fare il mio lavoro, lascio il resto agli altri!». Chi si dedica al lavoro trascurando tutto il resto può arrivare a maturare l’idea di non dover fare, o di essere incapace di fare, il resto (giocare con i figli, aiutare in casa, fare attività sportive, avere degli hobby, frequentare altre persone oltre i colleghi…), per questo procrastina e/o evita quelle attività. Si crea un circolo vizioso che rende sempre più incapaci, e l’incapacità acquisita va a formare la credenza che il “non lavoro” non valga la pena farlo perché è una perdita di tempo, oppure perché è meglio che lo faccia chi è più capace. Con quest’autoinganno il lavoro diventa sempre più l’unico rifugio e l’attività privilegiata.

Il Workaholic e le ripercussioni sulla vita non lavorativa

Spesso sono proprio i figli o il coniuge a pagarne le peggiori conseguenze. La comunicazione si danneggia, e il forte senso di colpa per non essere mai disponibile per la propria famiglia complica ancora di più la relazione. L’altro partner si fa spesso carico di tutti i compiti da svolgere in casa, si organizzano le vacanze in base al lavoro che il familiare ha da svolgere, si giustificano le sue assenze, ma al contempo lo si rimprovera della sua assenza. Queste accuse portano il workaholic ad allontanarsi ancora di più dalla propria famiglia e a ritornare ad immergersi nel lavoro, l’unica cosa sulla quale ha un controllo.

Il partner si sente spesso ignorato e rifiutato, una seconda scelta rispetto al tempo che il workaholic dedica al lavoro. Pur di stargli vicino si accontenta del poco tempo libero che ha, o si rassegna a partecipare a conversazioni che riguardano il lavoro. Mentre i figli, oltre a correre il rischio di “ereditare” (in quanto comportamento osservato) il disturbo del genitore, devono trovarsi in un ambiente familiare, che non fornisce loro le adeguate attenzioni e cure. Questo potrebbe sviluppare, come reazione, una continua ricerca di approvazione da parte del genitore perennemente assente e comportamenti aggressivi verso quest’ultimo.

Si può intervenire in questa situazione, indirizzando la persona verso un maggiore realismo nei confronti di se stesso e del suo lavoro, abbandonando quell’ideale di perfezionismo, imparando a delegare. La psicoterapia breve con le sue strategie e i suoi compiti che il paziente deve rispettare, si presenta un valido e concreto aiuto a chi sta soffrendo per un eccessivo lavoro, come spiego nel mio articolo “Chiuso per Workaholic: come staccarsi dalla dipendenza dal lavoro”.

Dr Flavio Cannistrà

Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy

co-Direttore dell’Istituto ICNOS

Terapia Breve

Terapia a Seduta Singola

Ipnosi

Bibliografia

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Giovannone, M. (2010). I rischi psicosociali: un focus sullo stress lavoro-correlato.

Portelli C. &  Papantuono M., (2017). Le nuove dipendenze. Riconoscerle, capirle, superarle. San Paolo Edizioni.

Smart, A. (2014). In pausa. Come l’ossessione per il fare sta distruggendo le nostre menti. Milano: Indiana.

Strøbæk, P.S. (2013). Let’s Have a Cup of Coffee! Coffee and Coping Communities at Work. In Symbolic Interaction, vol. 36, 3.