La macchina è un mezzo di trasporto comodo e pratico, ma quest’affermazione non è valida per tutti… Ci sono persone che non riescono neanche a salire in macchina. Altre che, anche se non sono alla guida, soffrono di viaggiare all’interno dell’abitacolo. Altre, che guidano ma soffrono, alternando pensieri negativi a sensazioni di disagio. Ed infine ce ne sono altre ancora che hanno sempre amato guidare, ma che, all’improvviso, “non ci riescono più”.
“E se non ci fosse una via d’uscita?”, “Come potrei salvarmi in una situazione di emergenza?”, “E se capitasse un incidente chi mi verrebbe ad aiutare?”. Queste e tante altre sono le ansie che accompagnano le persone che hanno l’amaxofobia, o più comunemente la paura di guidare la macchina.
Nel caso della paura di guidare, i pensieri disfunzionali tendono a rendere l’esperienza minacciosa ancora prima di mettersi alla guida. Decretando così uno stato di tensione, una paura irrazionale e bloccante che in alcuni momenti può determinare addirittura attacchi di panico e che, il più delle volte, conduce ad una tentata soluzione disfunzionale: l’evitamento.
Le Tentate Soluzioni nella Paura di guidare
In alcuni casi, al posto dell’evitamento, le persone cercano di mettere in atto specifici comportamenti precauzionali, per evitare la situazione o la reazione di panico temuta. Questa tentata soluzione disfunzionale se da un lato fornisce un’illusoria quanto precaria sensazione di sicurezza, dall’altro restringe sensibilmente gli spazi di autonomia e le aree di vita libere dal problema, connotando un numero sempre maggiore di contesti potenzialmente pericolosi.
Un’altra tentata soluzione disfunzionale è quella di controllare i propri pensieri, quindi di sforzarsi di non pensare ai possibili pericoli, al cercare di mantenere volontariamente un atteggiamento positivo e ottimista, convincendosi che “tutto andrà bene” e che “non c’è motivo di preoccuparsi”. Il controllo delle reazioni corporee, in alternativa o in concomitanza con il controllo dei pensieri, si concentra sulla regolazione del respiro, della postura, e del battito cardiaco. Tuttavia, così facendo, si lo spiacevole paradosso di provocare proprio ciò che la persona sta cercando di reprimere, quindi pensieri sempre più catastrofici da un lato e reazioni somatiche incontrollate dall’altro.
Infine molte persone credono che guidando da sole hanno maggiore ansia, ma che, se invece, al loro fianco c’è qualcuno si sentono più tranquille. Questo ragionamento le spinge a delegare a familiari, amici o partner gli spostamenti che non si è più in grado di sostenere. Tale processo è il punto di partenza di una serie di effetti deleteri sulla famiglia e la coppia, che rende tutti i partecipanti complementari al problema. Problema che resta e non si risolve. Perché se è vero che la persona di fianco a noi, con la sua sola presenza, comunica di volerci bene, al tempo stesso ci suggerisce inconsciamente che da soli non ce la possiamo fare a superare la nostra paura.
Le rinunce che ti portano fuori strada
Purtroppo, come sai, quando fai qualcosa ti comunichi qualcosa. Per esempio, se affronti qualcosa che ti fa paura, ti stai comunicando: “Sono coraggioso, ci voglio provare, non voglio mollare”. Al contrario, se eviti, ti stai comunicando che quella situazione è davvero insuperabile, al punto da dover gettare completamente la spugna. E rinuncia dopo rinuncia, rischierai di alimentare un senso di incompetenza.
Molte persone, che hanno paura di guidare in determinati tratti o circostanze, studiano percorsi alternativi, per di evitare le strade trafficate, o le autostrade o i cavalcavia, ma ogni volta che si intraprende un percorso alternativo si sta ingrandendo l’immagine terrificante della strada evitata: un’ombra che cresce di evitamento in evitamento, confermando sempre di più la sua minacciosità – e la nostra incapacità ad affrontarla.
Stessa cosa quando si cerca “la strada giusta”, studiando diligentemente l’itinerario che si dovrà percorrere ogni volta, in ogni dettaglio, per essere sicuri “di sapere la strada”: ma quando controlli e ricontrolli qualcosa, lo fai perché sei sicuro di te, o ti stai comunicando che forse, tutta questa sicurezza, non ce l’hai?
Ma quindi come si risolve questo problema? Il punto principale sta proprio in ciò che ci siamo comunicati finora. C’era un bel libro chiamato “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo“. Finché farai cose che ti comunicano che sei un “pollo”, anziché un’aquila, non andrai lontano. E ancora di più: è proprio questa percezione che alimenta i sintomi fisici dell’ansia.
Le tecniche di Terapia Breve, di cui parlo nel mio articolo “Come tornare a guidare la macchina? Le Terapie Brevi rispondono”, sono efficaci proprio per questo, perché agiscono nel presente su percezioni e comportamenti distorti. Producono, cioè, dei primi piccoli cambiamenti, apparentemente irrisori, che però hanno l’effetto di produrre una prima piccola incrinatura in quel pattern disfunzionale. Una prima voce fuori dal coro che urla: “Ehi! Forse non sono proprio un pollo!”. Da lì, con la costanza, si riesce a togliere dai cardini quei blocchi che ti hanno impedito di fare ciò che puoi fare: cominciare finalmente a… guidare “sulla strada giusta”.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
De Mello, A. (1990). Messaggio per un’aquila che si crede un pollo. Milano: Pickwick.
Directline (3 novembre 2015). Amaxofobia: quando la paura afferra il volante. (online)
Napoli, L. & Giannini, M. (2016). La paura di volare e la paura di guidare. Milano: Franco Angeli.