Nel mio articolo “Perché mi sento depressa? Le Terapie Brevi rispondono” ho parlato del perché a volte ci si sente depressi e di cosa tiene in vita questa sensazione. La depressione è una problematica particolarmente diffusa, infatti non riguarda solo gli adulti, ma anche, e soprattutto, i più giovani. Le fasi più esposte a questa problematiche sono l’adolescenza, il passaggio all’età adulta e il pensionamento. Insomma, la depressione riguarda adolescenti che non sanno trovare il proprio posto e la propria identità, giovani adulti che adesso non sanno quale obiettivo darsi nella vita e come far avanzare la propria vita, ma anche uomini e donne maturi che non sanno come reinventarsi. E’ il male del nuovo millennio e per questo servono strategie per affrontarla. Oggi proverò a mostrarti quali sono gli strumenti adottati dalle Terapie Brevi per gestire la depressione.
Chi ha la depressione ha spesso lottato a lungo contro un problema, ma a un certo punto è giunto al capolinea, ha perso le speranze. Per questo motivo è molto frequente che la richiesta di aiuto specialistico provenga da un familiare, preoccupato per la situazione e incapace di cambiarla nonostante reiterati tentativi di scuotere il depresso dal torpore.
Le Terapie Brevi, a prescindere da chi richiede l’intervento, risultano efficaci con la depressione. Nelle sue forme più o meno gravi. Alcune ricerche hanno mostrato come le persone che si rivolgono a uno specialista per andare a risolvere i propri problemi relativi all’umore migliorano notevolmente o addirittura risolvono il problema in un tempo inferiore alle 10 sedute, e da queste ricerche ci sono gli studi di Michael Yapko.
Cosa fa un Terapeuta Breve con i casi di depressione?
Il Terapeuta Breve Strategico non andrà alla ricerca delle presunte cause del malessere, ma cercherà di comprendere come esso si manifesta e si alimenta. Egli, infatti, terrà a mente quattro domande essenziali: Cos’è che, oggi, continua a mantenere in vita il problema? Quali comportamenti, quali atteggiamenti, quali percezioni trattengono la persona nel pantano depressivo, impedendole di uscirne fuori una volta per tutte? Cos’è che, oggi, sta funzionando e possiamo utilizzare? Quali sono quelle cose che la persona ha già fatto, e magari continua a fare, che in qualche modo possono essere utili a risolvere il problema, una volta che saranno adeguatamente migliorate e potenziate?
Ma c’è una domanda, ancora più importante: “Quali risorse personali il paziente può mettere in campo per far fronte al problema?”. D’altronde lo stesso Steve De Shazer chiedeva alle persone che gli dicevano di essere depresse: “E quando non sei depresso come ti comporti?”. Questa domanda è fortemente potente, perché nel momento in cui mettiamo la persona in condizione di attuare quei comportamenti che mette in atto quando non è depressa, di fatto non sarà più depressa.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo: “Ma Flavio, la depressione è un disturbo dell’umore, non puoi cambiarla semplicemente chiedendo alla persona di fare qualcosa di diverso”. Ed io gli risponderei cosi: “Immagina questa scena. Sei felice e vai ad una festa, ma nel tragitto ti prende un’idea assurda. Decidi che alla festa te ne starai in un angolo tutto il tempo senza ballare, senza mangiare, senza bere, senza parlare con nessuno e rimuginando costantemente su tutti gli aspetti negativi che possono avere le persone che vedi passare di fronte a te durante la festa. Secondo te, finita la festa, sarai ancora felice?”. Naturalmente questa non è la soluzione alla depressione, ma è qualcosa che tutti sanno: quello che fai, influenza quello che senti. E ciò che fai e che senti ti permette di costruire nuovi significati su di te, sugli altri, sul mondo… Steve De Shazer lo sapeva bene e la sua idea partiva proprio da qui: far fare alle persone qualcosa di differente.
“Se qualcosa non è rotto, non va aggiustato”
Quindi tutto ciò che c’è di funzionale in una persona depressa, come in qualunque persona, andrebbe mantenuto. Ed anzi, “se qualcosa funziona dovresti farlo di più”, mentre “se qualcosa non funziona dovresti fare qualcosa di diverso”. Per tutte queste ragioni, parte dell’intervento dovrebbe andare proprio ad identificare ciò che funziona, per mantenerlo e ciò che non funziona, per fargli fare qualcosa di diverso. Questo è esattamente quello che Michael Yapko, massimo esperto di terapia breve per la depressione a livello internazionale fa.
E invece sulle tentate soluzioni disfunzionali? Come interviene un Terapeuta Breve? Nell’articolo “Perché mi sento depressa? Le Terapie Brevi rispondono” si è visto che tra le cose che mantengono in vita la depressione c’è la lamentela. Più in generale potremmo dire il vittimismo, come lo definisce Nardone, e capiamo bene perché è un problema. Se mi lamento sempre, se dico che non sono capace, se la vita secondo me fa schifo e gli altri sono ingiusti, che vantaggio ne traggo? Nessuno, anzi mi affosso ancora di più. Tuttavia la persona in realtà può sentire il desiderio di far uscire quello che ha dentro, generalmente la rabbia prima di tutto, e non lo è neanche perché in certi casi quella è la sua unica valvola di sfogo, la lamentela. Quindi? Quindi bisogna valutare se quella persona terapeuticamente ha bisogno di una valvola di sfogo, perché nel quotidiano non parla con nessuno, non ha nessuno con cui lamentarsi, quindi non la fa, la vittima, non tramite la lamentela perlomeno. Oppure se quella persona usa la lamentela e quindi le vanno dati dei contenitori ad hoc, appositi, in cui lamentarsi.
Infine un comportamento che mantiene in vita la depressione è la rinuncia. Inoltre se rinunci, va da sé, deleghi. La persona depressa non di rado fa fare certe cose agli altri, il che è un problema. Lo è ad esempio perché sappiamo bene che l’autostima, cioè la stima che sappiamo fare di noi stessi, va di pari passo con la percezione o la stima dell’autoefficacia, cioè la stima di quanto noi siamo efficaci nel fare le cose. E quindi? E quindi se deleghi, se fai fare agli altri, ne va di sé che l’autoefficacia e l’efficacia percepita di te stesso sarà mediocre e di conseguenza sarà mediocre l’autostima che dai di te stesso. E non solo, perché delegando mantieni la posizione di incapace, di vittima degli eventi, di succube degli schiaffi della vita. Quindi questo comportamento va bloccato con la tecnica del “boicottaggio benevolo”.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
American Psychiatric Association (2014): “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5”. Milano, Raffaello Cortina Editore.
Muriana, E., Pettenò, L., Verbitz, T. (2000). I volti della depressione. Abbandonare il ruolo della vittima grazie alla terapia in tempi brevi. Milano: Ponte alle Grazie.
Stathopoulou, G. et al (2006). Exercise Interventions for Mental Health: A Quantitative and Qualitative Review. In Clinical Psychology: Science and Pratice, Volume 13, Issue 2, pages 179–193.
Trivedi, M.H. et al. (2011). Exercise as an Augmentation Treatment for Nonremitted Major Depressive Disorder: A Randomized, Parallel Dose Comparison. In Journal of Clinical Psychiatry, 72(5), pp. 677-84.
Yapko, M. (2002). Rompere gli schemi della depressione. Milano: Ponte alle Grazie.