La depressione è in aumento. Tra una decina d’anni sarà la seconda causa di malattie nel mondo. La cosa ci sorprende ben poco: crisi economica mondiale, aumento dello stress lavorativo, presentazione di modelli distorti di felicità. Se vogliamo trovare un motivo per deprimerci, ha detto qualcuno, basta guardare fuori dalla finestra. Personalmente sono più propenso a cercare dalla stessa finestra altrettanti motivi per vivere bene.
Questo, però, non cancella un fatto: la depressione è in aumento.
Che fare? Qualcuno ci ha già dato una risposta pronta e confezionata quando, anni fa, iniziò a parlare della “pillola della felicità”. Era il Prozac, uno dei farmaci più venduti nella storia della medicina. L’associazione è facile: se parlo di “malattia” la soluzione più ovvia è un “farmaco”. Per questo in psicologia si preferisce parlare di difficoltà, di problemi, tutt’al più di disturbi.
Ci si scorda troppo spesso che la mente è molto più che un insieme di cellule e di processi biologici e pensare di curarla così come si cura un’influenza è riduttivo.
Vediamo qualche informazione e qualche apprendimento dalla Terapia Breve.
Gli antidepressivi funzionano?
Irving Kirsch, professore di psicologia dell’Università di Hull (Inghilterra), negli ultimi anni ha condotto una serie di ricerche per studiare l’efficacia degli antidepressivi. Più precisamente, ha preso in esame tutti gli studi in materia, pubblicati e non.
Risultato?
Il placebo ha un’efficacia equivalente agli antidepressivi nell’82% dei casi, il che significa che la pillola funzionerebbe meglio dell’acqua fresca solo nel 18% dei casi. Peraltro, in questo 18%, non è il farmaco a essere più efficace, ma è l’effetto del placebo nel lungo termine a esserlo meno. Consideriamo anche un’altra cosa: l’effetto placebo, conosciuto fin dall’antichità, è quell’effetto per cui si migliora perché ci si aspetta di migliorare; ho il raffreddore, mi viene data una pasticca del tutto inerte assicurandomi che è un potentissimo farmaco, e incredibilmente guarisco! Quindi l’effetto placebo si somma all’effetto chimico del farmaco.
Cosa ne deriva?
Che quel 18% di casi migliorati non sono migliorati solo dal farmaco, mentre il restante l’82% di casi sono migliorati solo grazie al placebo.
E non finisce qui!
Fatto tutto ciò, Kirsch si è detto: “Ok, ma in quel 18% di casi in cui il farmaco è più efficace del placebo, di quanto lo è?”. Somministrando dei test per la depressione ha visto che tale maggiore efficacia è minima, talmente minima che secondo l’Istituto Nazionale per l’Eccellenza Sanitaria e Clinica potrebbe essere data semplicemente da un aumento della libido o della qualità del sonno.
Facciamo un riassunto.
La depressione è in aumento e l’uso di farmaci antidepressivi è spropositato. Kirsch ha condotto delle ricerche dimostrando che la loro efficacia è in realtà irrisoria rispetto a quella del placebo, cioè di sostanze inerti (un bel bicchiere d’acqua) prescritte come farmaci. Davanti a questi dati alcuni autori hanno ammesso candidamente che ben sapevano di tale realtà. La chiamano il loro little dirty secret: il loro piccolo sporco segreto.
Dobbiamo indignarci e gettare immediatamente il farmaco nel cestino?
Un momento.
Innanzitutto una raccomandazione: i farmaci sono prescrivibili unicamente dai medici perché hanno effetti molto particolari. Con gli psicofarmaci, soprattutto, non si scherza. Non si può prendere e decidere di interrompere o modificare una cura di propria spontanea volontà: i rischi sono troppo alti. In secondo luogo c’è sempre un punto da considerare: la scienza non produce risultati unici e universali. Gli studi di Kirsch sono molto accurati, tanto che si sposano con la tendenza di quasi la metà degli specialisti della Gran Bretagna di trovare metodi alternativi, o con le raccomandazioni di nostri scienziati di non usare gli antidepressivi come terapia preventiva e di considerarli l’ultimo rimedio. Ma che in alcune situazioni siano utili (non universali, non migliori, ma utili) è sostenuto da molte evidenze; solo che gli effetti collaterali sono molti: impotenza, diarrea, nausea, irritabilità, tremore, ansia, insonnia, ecc.
In più, ormai è largamente riconosciuto che il trattamento migliore è la psicoterapia, a cui tutt’al più si associa il farmaco quando necessario. Come riportato in diversi libri, alcune terapie (come la Terapia Breve Strategica) mostrano che, con la depressione, si ottengono risultati superiori all’80% senza l’uso di alcun farmaco, anzi lavorando per toglierlo.
Il farmaco spesso viene somministrato con troppa facilità.
Umore nero, delusioni amorose, difficoltà a raggiungere degli obbiettivi, incapacità a risolvere i problemi della vita… sono tutte situazioni che possono portare a un abbassamento dell’umore. È facile dare la pillola, ma il problema rimane.
Se per molti mesi dopo una delusione amorosa continuo a non vedere gli amici, a non sentire nessuno, a essere triste o irritabile, a pensare di valere poco o nulla, forse dovrei fare qualcosa per ritrovare un equilibrio, il benessere, per vincere pensieri ed emozioni che mi fanno stare male – e non servono anni di terapia, come comunemente si crede.
Una pillola potrà sollevare il tono del l’umore, ma non risolverà il rapporto, gli atteggiamenti e i pensieri riguardanti il problema.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
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Riferimenti bibliografici
Codignola, A. (2010). Bluff depressione. In L’Espresso, n. 6, pp. 134-138.
Kirsch, I. et al. (2008). Initial Severity and Antidepressant Benefits: A Meta-Analysis of Data Submitted to the Food and Drug Administration. In PLoS Medicine, v. 5, n. 2, pp. 260-268.
Migone, P. (2005). Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale. In Psicoterapia e Scienze Umane, XXXIX, 3, pp. 312-322.
Muriana, E., Pettenò, L., Verbitz, T. (2006). I volti della depressione. Milano: Ponte alle Grazie.