I 3 meccanismi della depressione

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I 3 Meccanismi Della Depressione “Perché sono depresso?” Tre meccanismi ci aiutano a capirlo.
(Foto da FreePik).

Cosa facciamo quando siamo depressi?

Ogni volta che stai male, che qualcosa non va, reagisci. Potresti anche reagire non reagendo: questa è la tua reazione.

Non pensare che non vada bene: il freezing, l’immobilizzarsi di fronte al pericolo, o la sua variante estrema (il fingersi morto), è utile e permette a molti animali – tra cui l’uomo – di sopravvivere. Così come il letargo permette di ridurre al minimo il consumo di energie per sopravvivere a un periodo avverso.

Ma come hanno studiato al Brief Therapy Center di Palo Alto (che fu uno dei più prestigiosi centri di terapia breve), alcune di queste reazioni non vanno poi così bene, oppure vengono mantenute per un periodo troppo lungo. Accade per esempio nella depressione…

Soffrire per un lutto è normale

Tutti soffriamo per un lutto. Qualunque manuale di psicopatologia (la materia che studia il funzionamento dei disturbi psicologici) ti dirà che i sintomi del lutto, in sé, non sono patologici. Soffrire, piangere, sentirsi senza energie (astenia), senza voglia di far nulla (abulia), incapaci di ricavare piacere da qualunque attività (anedonia) sono tutte caratteristiche normali.

È come se il nostro corpo e la nostra mente ci stessero dicendo: “Hai subito un duro colpo: prenditi del tempo per te”. Non c’è niente di sbagliato in questo.

Altri tipi di lutto

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Una perdita è uno dei motivi per cui si insinua la depressione.

Nel linguaggio di tutti i giorni solitamente usiamo la parola “lutto” per riferirci alla perdita di una persona cara.
Ma il lutto può essere anche una perdita diversa.

La perdita di un sogno, ad esempio. Avere un’idea, un obiettivo, e vederlo sgretolarsi davanti agli occhi.
Oppure lavorare per anni e dedicare al lavoro buona parte della propria vita; e poi, semplicemente, andare in pensione.

Anche questi sono dei lutti, delle perdite. E anche di fronte a questi si può reagire con meccanismi simili a quelli che si innescano quando perdiamo una persona cara: mancanza di piacere, scarsa voglia di fare le cose, sentimenti di tristezza…

È qui che si insinua il germe della depressione.

3 meccanismi della depressione

La depressione non esiste.
Nel senso che non esiste “il virus della depressione” (e se esistesse starebbe probabilmente tutto il tempo a compiangersi e a lamentarsi).

“Depressione” è una parola che usiamo quando osserviamo una persona fare determinate cose per un certo periodo di tempo. E in un certo senso, potremmo dire che queste cose sono esattamente quelle reazioni di cui parlavamo all’inizio.

Quali sono le più tipiche? Sicuramente possiamo contare almeno 3.

  1. Rinunciare: “La rinuncia è un suicidio quotidiano”, diceva Honoré de Balzac. Quando qualcosa ci colpisce e ci ferisce, o quando semplicemente si presenta con tutta la sua inesorabilità, ponendoci di fronte alla realtà di non poterci fare nulla (a volte davvero, a volte solo apparentemente), è facile gettare le armi. Se il nemico è troppo forte, arrendersi sembra la soluzione più ovvia.
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    “La rinuncia è un suicidio quotidiano” (Honoré de Balzac)

    Il problema è che spesso per una battaglia persa decidiamo di rinunciare a tutta la guerra. Oppure, quando in quella guerra è infine stata sancita la nostra sconfitta, la nostra incapacità di vittoria, ci arrendiamo alla vita intera. Un esempio di pars pro toto, una parte per il tutto.

    Quando Serena Williams è stata battuta da Roberta Vinci, ha deciso di ritirarsi da una serie di gare successive a cui avrebbe dovuto partecipare. Ma poi è tornata in campo. Sicuramente aveva diverse ferite da leccarsi, tanto che ha perso diverse gare (attenzione: non ha perso tutte le partite, anzi, è arrivata in finale 2 volte su 3, e comunque nella sua carriera da campionessa ha perso – e perderà – diverse gare) prima di vincere recentemente a Roma.

    Serena ha rinunciato e probabilmente ha fatto bene: era ciò che le chiedeva la sua mente, il suo corpo. Questo non è un problema. Il problema si sarebbe posto se avesse continuato a farlo. L’orso che va in letargo prima o poi deve svegliarsi.

  2. Lamentarsi: lamentarsi è naturale. Lo apprendiamo fin da piccoli. Ed è anche utile.Chi ha visto Inside Out (consigliatissimo) saprà che uno degli scopi della lamentela è quello di avvicinare le cure e le attenzioni degli altri. L’empatia è umana (beh, non solo) ed è normale rispondere a una lamentela con un aumento delle attenzioni.D’altronde a chi non faceva piacere la minestrina calda, avvolti nelle coperte, quando si aveva la febbre?

    Il problema è quando la lamentela continua e continua e continua… Ed è un doppio problema.

    Infatti, da un lato stiamo chiedendo un costante aiuto agli altri. Ma questa nostra richiesta retroagisce su noi stessi. Significa che ritorna indietro al mittente con una nuova comunicazione: “Tu da solo non sei in grado“. E te lo stai dicendo da te. D’altronde, se fossi in grado, perché dovresti lamentarti?

    In più, gli altri hanno un limite di sopportazione. Non possiamo pretendere che ascoltino le nostre lamentele per lungo tempo: alzeranno delle difese protettive. E più forte strilleremo, più alte si faranno le loro difese. E noi ci sentiremo ancora più soli e incapaci.

    Paradossalmente è negativo anche il contrario della lamentela: la chiusura e il silenzio. Come pentole a pressione, non possiamo accumulare tutto ciò che avviene al nostro interno senza dedicarci delle valvole di sfogo. Scrivi, parla, telefona al tuo migliore amico, fa quello che vuoi ma fai uscire ciò che senti. Altrimenti presto o tardi esploderai.

  3. Delegare: il terzo meccanismo, figlio della rinuncia, è la delega, il far fare agli altri. Ovvio che gli altri, dato che ci vogliono bene, sono pronti a fare per noi anche le piccole cose. Spesso, anzi, l’insidia è proprio questa: “È una cosa da niente” pensano, “posso occuparmene io e permettergli di concentrarsi su se stesso”.
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    Lasciare che gli altri facciano per noi è disfunzionale.

    Il fatto è che a volte dovremmo proprio smettere di concentrarci su noi stessi e riprendere a fare le “cose da niente”. Perché spesso pensiamo che per uscire dalla depressione dovremmo cominciare a fare “grandi cose”, come riprendere a lavorare, andare in vacanza o uscire con gli amici.

    In realtà si può benissimo cominciare da piccoli passi e forse spesso è la cosa migliore da fare. In un altro articolo (Esercizi per combattere la depressione) spiegavo come bastano 45-60 minuti di esercizi 3-5 volte a settimana per cominciare a vincere la depressione.

    Spesso in terapia breve si comincia a “rompere gli schemi della depressione” (per usare il titolo di un libro di Michael Yapko, grande esperto di questo problema) proprio partendo da piccoli passi.

Inizia rompendo i 3 meccanismi

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Un utile libro di Michael Yapko su come affrontare la depressione (clicca sulla copertina).

Rinuncia, lamentela, delega.

Questi sono i tre comportamenti parassitari che, se all’inizio di una fase difficile possono esserci d’aiuto, nel loro perpetuarsi finiscono per complicare la nostra situazione, facendoci scivolare lentamente verso la depressione.

Ravvisarli nel proprio comportamento è il modo migliore per cominciare a combatterli, andandogli contro e cominciando a spezzare il circolo vizioso in cui vogliono farci precipitare.

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Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica
e Ipnosi

Letture consigliate:
Fisch, R., Weakland, J. H. & Segal, L. (1982). Change. Le tattiche del cambiamento. Roma: Astrolabio, 1983.
Yapko, M. (1998). Rompere gli schemi della depressione. Milano: Ponte alle Grazie, 2002.