Metal up your depression

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Checché se ne dica, il passaggio metal → depressione è un po’ più complicato di quanto si riferisca. Per questo enti professionali come gli Ordini regionali degli Psicologi o riviste divulgative come Psicologia Contemporanea di recente dicono “Calmatevi”. E non lo dicono a voi: lo dicono a noi.

Ma andiamo con ordine.

Katrina McFerran è una ricercatrice dell’Università di Melbourne, ama la musica e vuole usarla per aiutare i giovani studenti. Con alcuni colleghi ha condotto una ricerca che, alla fine dei conti, ha evidenziato una connessione tra heavy metal e depressione. Apriti cielo. “La musica heavy metal può portare alla depressione”, “Tuo figlio ascolta il metal? Ha la depressione”, “Metal = Depressione” sono alcuni dei titoli che riportano i mass media. Qualcuno giustamente alza la mano e chiede: “Ma qualche anno fa non c’era stato quell’altro psicologo, Stuart Cadwallader, dell’Università di Warwick, che aveva detto che il metal lo ascoltano i piccoli geni?”. La confusione è tanta – e speriamo che nessuno concluda che i piccoli geni sono tutti depressi.

Qual è la verità?

La verità è che si fanno più ascolti quando la notizia è sensazionale, meglio ancora se drammatica o scandalosa. Che poi di sensazionale qui c’è ben poco: che certa musica fa male ce lo dicono da decenni, eppure siamo ancora qui, abbiamo inventato l’mp3 e pure l’iPod.

Ma torniamo alla Dottoressa McFerran, che ha chiesto aiuto niente meno che a Metal Insider, rivista online cultrice del genere che ha rilasciato un suo commento per fare luce e chiarezza. “La musica è importante, ma non è magia” dice la Dott.ssa McFerran. “Non può controllarti la mente, anche se ritengo che possa fare la differenza nella tua vita. Allora perché così tante persone pensano che il mio studio abbia detto ‘La musica metal causa le malattie mentali’? Non lo fa assolutamente”.

In effetti, semplicemente leggendo l’articolo di presentazione del Melbourne Newsroom, si capisce che i ricercatori non sostengono che il metal causi la depressione, né che chi lo ascolta sia più a rischio, né tantomeno che tra i metallari ci sia un più alto tasso di depressi. Semplicemente, si parla di “possibili usi negativi della musica”, in particolare – ma non solo – di quella heavy metal.
“Esempi di questo si hanno quando qualcuno ascolta la stessa canzone o un album di musica heavy metal più e più volte e non ascolta altro [nell’articolo si parla di 7-8 ore di ascolto giornaliere, ndr]. Lo fa per isolarsi o per fuggire dalla realtà. Se questo comportamento continua oltre un certo periodo di tempo allora potrebbe indicare che il giovane soffre di depressione o ansia”.

“Potrebbe” e “indicare” è diverso da “Di sicuro” e “è un sintomo”.

Problema di genere

Nei loro studi, la Dottoressa McFerran e i suoi colleghi si domandano come mai alcuni giovani già ad alto rischio di sviluppare disturbi psicologici si sentano peggio dopo aver ascoltato a lungo e ripetutamente musica metal. Il problema non è il genere musicale, ma l’uso che ne può fare chi ha già sulle spalle una situazione delicata. Come a dire che la zavorra aiuta chi vuole scendere nell’oceano, ma se rischi di rimanere senza ossigeno aggiungerne altra forse è inopportuno.

“Forse”. E qui chiudiamo tornando all’inizio, all’Ordine degli Psicologi e agli appelli della psicologia scientifica. Pare che la nostra professione stia suscitando sempre più interesse da parte dei media, che ci invitano sempre di più a esprimere opinioni e pareri su fatti di cronaca o di attualità. Tuttavia, sarebbe d’obbligo ricordare che come per tutte le scienze anche nel nostro caso non esiste la psicologia, ma le psicologie – a fronte di una serie di correnti spesso anche in totale opposizione tra loro – e che la scienza non è fatta di certezze o di apodittiche verità. La ricerca dev’essere sempre sottoposta a processi di verificazione e falsificazione per poter progredire, e una teoria dev’essere presentata come lo studio di un uomo, non come il comandamento di un dio.

Questo non è solo un appello all’integrità etica e deontologica, è soprattutto un invito ad avvicinarsi con spirito critico a qualunque rivelazione, qualunque sia la fonte, evitando di arrivare ad azioni e comportamenti dubbi o controproducenti.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola

Ipnosi

Riferimenti bibliografici
Giannini, A.M., Capri, P., Cubelli, R., Lentini, L.
(2011). Etica della professione e mass media. In Notiziario dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, 2/3.
McFerran, K., O’Grady, L., Grocke, D., Sawyer, S.M.
(2011). How teenagers use music to manage their mood: An initial investigation. University of Melbourne.