Cosa c’è di male a voler essere “più belli”? Non c’è niente di male a voler essere più belli, anche più magri o più tonici: è il come ciò possa essere raggiunto che fa la differenza. Sentirsi più belli (che poi “più” di cosa?) può sicuramente aumentare la sicurezza di sé, ma non la implica necessariamente.
Nei miei articoli “Vite al limite: cosa significa avere l’anoressia nervosa” e “Liberati dalla prigione dell’anoressia nervosa con la Terapia Breve” ho già detto che una persona che mette in atto i comportamenti anoressici lo può fare con diverse modalità, che predispongono a diversi modi di intervenire. Ad esempio, può mettere in atto comportamenti di iper-esercizio, binge eating, vomiting o purghe, fino a situazioni in cui sono presenti autolesionismo, uso di droghe o un complesso di percezioni e comportamenti rigidi che spesso vengono definiti come disturbi di personalità o tratti di personalità borderline. Possono essere svariate le “tentate soluzioni disfunzionali”, fatte in nome del piacere e del piacersi.
Ma cos’è il piacere per chi ha l’anoressia nervosa? E’ bene indagare le cose che le piacciono di più, ciò che le piacerebbe mangiare, andando a risvegliare il piacere sopito. Oggi voglio raccontarti di Paolina, di cosa non le piaceva di lei e di cosa invece, grazie al supporto delle Terapie Brevi, ha iniziato a piacerle…
La storia di Paolina
“Non mi piacciono le mie gambe”. Paolina* ha 18 anni e da 4 ha iniziato una lotta contro il proprio corpo, come mi dice lei. “Quando mi guardo allo specchio mi dico che faccio schifo” mi racconta. E mi racconta di come eviti di mangiare. “Perché eviti di mangiare?” le chiedo. “Perché non mi piace il mio corpo” risponde. “E cosa vorresti cambiare nel tuo corpo” le chiedo? “Le gambe” mi dice. “Ma allora” riprendo “non ti fai schifo. Forse, al massimo, ti fanno schifo le gambe”. E Paolina mi guarda in silenzio, attonita.
Indago un pochino come funziona il problema e scopro che oltre a non mangiare quasi per niente non fa altro : niente esercizi – non avrebbe tempo, visto lo studio richiesto dall’università – niente vomito, non fa purghe. “Posso aiutarti e potrei non coinvolgere i tuoi genitori, che credono che tu sia qui per l’ansia. Ma solo se mi segui”. “Non puoi obbligarmi a mangiare” mi dice. “Non voglio farlo. E poi ci penserebbero i servizi sociali, se tu arrivassi a lasciarti morire di fame”. Paolina sa di cosa parlo: tempo prima era svenuta in aula e in infermeria le avevano detto che erano preoccupate per la sua estrema magrezza e che forse dovevano avvisare qualcuno. “No, i miei non devono sapere niente” mi dice. Le chiedo allora cosa le piace fare oltre a studiare, per indagare e stimolare i suoi piaceri. “Uscire con le amiche” mi dice. “Ma ormai è cosa rara, perché significa che finiremmo da qualche parte a mangiare.” “E se ti sentissi libera di farlo, dove vorresti andare a mangiare?” le chiedo. Lei sorride: “Al Mc”.
Passiamo in rassegna tutti i cibi che le piacciono di più, le cose che ogni tanto si concede – con gran senso di colpa – e le do un primo compito: farmi una lista dei cibi ideali, che le piacerebbe avere nel suo menù. La volta dopo torna scura in volto. Quando le chiedo cos’è successo mi risponde che è uscita con delle amiche e… ha mangiato. “Ma così non va bene” aggiunge. “Se andasse bene da cosa te ne accorgeresti?” le chiedo. “Dal fatto che mi guarderei allo specchio e mi direi: “Paolina, non fai schifo, hai preso solo un chilo…”.
L’anoressia nervosa ed il bisogno di una vita “più leggera”
Ma non finisce qui: indagando le due settimane precedenti, scopro che ha iniziato a introdurre qualche cibo piacevole nella sua dieta, così indago un po’ i suoi menù e mi complimento con lei, anche se le dico che la strada da fare è molto lunga ancora. “Sai, devi piacerti” le dico “Ma per piacerti devi guardarti, capire com’è il tuo corpo, come funziona, com’è come ti piacerebbe vederlo, solo così puoi capire come desidereresti essere e agire in tal senso”. Paolina mi guarda: “Intendi con la chirurgia estetica?” Io le sorrido: “Hai 18 anni. Il corpo è dalla tua parte. Puoi scoprire che ti basta fare un po’ di attività per modellarlo come preferisci.” Discutiamo di possibili attività fisiche, andando a sottolineare il fatto che potranno esserle utili anche nello studio: “Il cervello, in questo caso, funziona come un muscolo” le dico. “Se non lo fai mai riposare, diventerà sempre meno efficiente”.
Passiamo le sedute successive a contemplare il suo graduale ripristino di un menù adeguato, basato su i suoi cibi preferiti: non parliamo quasi mai del peso, ma Paolina mi racconta della leggerezza che hanno assunto le sue giornate, una leggerezza interiore. Inizia a indossare abiti diversi, non più quelle felpe larghe che la coprivano, inizia a uscire ancora di più con le amiche con il rischio di andare al Mac e alla fine finalmente organizza proprio un pranzo li per festeggiare il superamento di un esame.
L’ansia, che in effetti era presente, scompare senza averci lavorato direttamente. Dopo alcuni incontri, e con un peso visibilmente e piacevolmente diverso, Paolina mi fa una nuova richiesta: “Adesso” mi dice “vorrei parlarti di una nuova cosa”. “Cosa?” le chiedo. “Ragazzi.” Non ha bisogno di dire altro. Apriamo un nuovo capitolo del nostro lavoro…
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone, G. (2005). Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Verbitz, T. & Milanese, R. (2001). Le prigioni del cibo. Milano: Ponte alle Grazie.
*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.