Spesso dietro alla dipendenza da videogiochi c’è il tentativo di controllare e stabilire le leggi dell’unica realtà investita e accessibile: la realtà virtuale del gioco, che arriva persino ad essere scambiata con quella fuori dal gioco. Il soggetto tende sempre più ad identificarsi con il personaggio-eroe del videogame, alimentando una sorta di confusione sottile tra la realtà e il mondo virtuale dello schermo.
Negli articoli “Game over: quando si può parlare di dipendenza dai videogiochi?” e “Online ed offline: come uscire dalla dipendenza dai videogiochi con le Terapie Brevi” ho trattato dell’importanza di intervenire su due aspetti nei casi di dipendenza dai videogiochi: in primis sulla riduzione e sul controllo della dipendenza, ma, al tempo stesso, di permettere al paziente di riappropriarsi della vita che stava sprecando, in maniera tale da permettergli di passare facilmente dall’online… all’offline.
Per questo oggi trascrivere la storia di Ettore, che è il caso di un paziente, che Portelli e Papantuono raccontano nel loro libro: “Le nuove dipendenze. Riconoscerle, capirle, superarle”.
Campione online, “perdente” offline
Ettore è un ragazzo di ventitré anni, portato in terapia dai genitori, che non sopportavano più di vederlo sprecare la sua vita. Occupava le sue giornate facendo un gioco di ruolo on-line in cui era diventato imbattibile. In quel modo si sentiva un campione.
Cosa ben diversa avveniva nella vita reale, dove Ettore aveva una bassa autostima, forse data anche dalla corporatura robusta. Alle superiori era stato vittima di bullismo, per questo si era isolato come un eremita perdendo anche le poche amicizie. Ettore non si presentava bene, il suo sguardo sfuggente, la postura curva non davano l’idea di sicurezza e di self-confidence. Il ragazzo si presentava vestito come un signore anziano, con un taglio di capelli rétro, lo sguardo basso nascosto da un paio di grossi occhiali spessi. Nella presentazione della sua situazione, raccontava che dopo la scuola, che era arrivato a odiare, aveva cercato di trovare un lavoro senza alcun successo. Diceva: “Non sono degno nemmeno di lavare i piatti”.
La vita di Ettore, fino a quel momento, era costellata da piccoli ma continui insuccessi, solo nel suo gioco, in rete, godeva dei riconoscimenti dei suoi sfidanti virtuali, che lo consideravano un mito. Lì era agile, potente, tutti si inchinavano d fronte a lui, simboleggiato dal suo prestante avatar.
Uscire dalla dipendenza dai videogiochi è “un gioco” da ragazzi?
Il gioco era l’unico piacere e la sola soddisfazione, perciò non aveva nessuna intenzione di abbandonarlo. Minacciava i genitori di farla finita se gli avessero tolto internet. Una minaccia da non sottovalutare, considerando che la vita di Ettore era vuota, priva di altri interessi e di qualsiasi altra motivazione.
In terapia, consapevoli che non si poteva lavorare solamente per permettergli di ottenere un maggior controllo sulla dipendenza dal suo videogioco on line, si optò di lasciarglielo fin quando non avesse acquisito quelle competenze personali e sociali necessarie a permettergli di sentirsi un po’ più forte anche nella vita, fuori dal gioco.
Per riuscire a liberarlo definitivamente dalla sua dipendenza, dovevamo aiutarlo a crearsi veri piaceri che, mano a mano, avrebbero potuto sostituirsi al videogioco on-line. In questi casi, infatti, una terapia risolutiva rende capaci di avere il controllo sul proprio comportamento compulsivo e, al tempo stesso, permette l’acquisizione di competenze personali sociali che consentono di far sentire campioni anche nella vita offline.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone G., Cagnoni F. (2002). Perversioni in rete, Psicopatologie da Internet e loro trattamento, Ponte alle Grazie.
Portelli C. & Papantuono M., (2017). Le nuove dipendenze. Riconoscerle, capirle, superarle. San Paolo Edizioni.