Nei miei articoli: “Una fame da bue: cosa significa avere la bulimia” e in “Vincere la bulimia con la dieta del piacere” abbiamo visto come una tentata soluzione disfunzionale prevalente per perdere peso è, ovviamente, quella di mettersi a dieta.
Per chi non avesse letto questi due articoli provo a sintetizzare cos’è la bulimia in poche righe. La bulimia è caratterizzata da una costante preoccupazione per il proprio peso corporeo, ma attraverso un controllo ferreo sulla dieta, nella quale l’alimentazione cede il posto più o meno occasionalmente ad abbuffate. Si viene così a creare una vera e propria alternanza tra i due poli (mi trattengo e restringo, vengo travolto/a e mi abbuffo) e in questo modo il rapporto naturale ed istintivo con il cibo viene a mancare.
Quando la persona può scegliere cosa mangiare restringe, oppure sente ‘un demone’ impossessarsi di lei, e mangia fino a scoppiare. E per smaltire le calorie aggiuntive acquisite, la Bulimica si impegna in attività fisica oppure ad espellere il cibo appena ingerito tramite il vomito.
Il problema non è la fame, ma la voglia di mangiare
Prendiamo in considerazione un caso trattato da Nardone. Una donna vive attanagliata dal suo problema da moltissimi anni, avendo tentato diverse strade terapeutiche, ha quarant’anno ed è visibilmente in sovrappeso.
La donna dice di avere un forte problema col cibo, ammette che il suo problema “non è la fame, ma la voglia di mangiare”. Quasi per autopunirsi, lavora da qualche anno in una pasticceria dove, dice, è circondata dalle tentazioni. Prima aveva lavorato in una rosticceria. È separata dal marito e afferma di aver visto accentuarsi il suo problema dopo la rottura del matrimonio, anche se era comunque presente anche prima.
Come detto negli articoli precedenti, davanti alla bulimia il lavoro solitamente va a gestire sia le emozioni, che i comportamenti.
Alimentazione: relazioni e comportamenti
Infatti aprendo il discorso relazioni, la donna risponde che in effetti la ciccia è brutta, però “è una bella armatura”. “Insomma”, incalza il terapeuta, “c’è sempre qualcosa da frapporre fra lei e la relazione con l’altro”. Questa frase sembra colpire la paziente che, dopo qualche attimo di riflessione, risponde di essere una che mette continuamente barriere e dice: “Chi mi vuole mi deve volere molto”. Il terapeuta le ristruttura questa situazione paragonandola a quella di un carciofo: “Io amo definire questa situazione come la sindrome del carciofo – che protegge il suo cuore tenero e dolce con tanti strati di foglie amare e piene di aculei”. In quel momento lei afferma che, pur avendo detto che se qualcuno la vuole la deve accettare così com’è, è la prima a non accettarsi…
La paziente, durante il suo racconto, aggiunge di aver tentato diverse diete, con le quali è riuscita ad avere qualche sporadico periodo di dimagrimento, ma per mai più di un mese. Alla richiesta di quanti chili vorrebbe perdere, risponde di essere 114 Kg e volere arrivare a 75. Il suo peso forma sarebbe 55, ma nei brevi periodi di dimagrimento si è accorta che sotto i 70 il suo viso diventa troppo allungato e col mento troppo grosso. Ed è qui che si lavora sul Sistema Percettivo-Reattivo, dandole un compito. Una fantasia da fare ogni mattina. La paziente dovrà immaginare di essere stata da una specie di stregone che per incanto ha fatto scomparire il suo problema. Come sarebbe allora la sua vita, cosa ci sarebbe di diverso e di nuovo? Quali sarebbero i nuovi problemi che emergerebbero?
Ed è così che alla seconda seduta ella racconta che se il suo problema sparisse, probabilmente verrebbe fuori una sua difficoltà a gestire le tensioni. Non ci sarebbe più “Il grasso a proteggermi” e allora non saprebbe come relazionarsi agli altri. Inoltre la paziente afferma di aver sentito meno forte l’attrazione per il mangiare, ma di non essere dimagrita. Ecco che allora il terapeuta le dice: “Visto che non sei riuscita a dimagrire, mi chiedo quanto ancora potresti ingrassare prima di cominciare a dimagrire. Ti sceglierai una dieta non troppo rigida, diciamo sopra le 1000-1200 calorie, è inutile che io te ne fornisca una perché tu sei sicuramente bravissima con tutte le diete che hai fatto. Al di fuori di quella dieta, però, ogni volta che mangi qualcosa, la devi mangiare per cinque volte: se mangi un cioccolatino, cinque cioccolatini, se mangi un pezzo di torta, cinque pezzi di torta… Puoi non trasgredire per niente, ma se fai una trasgressione ne farai cinque.”
E poi le aggiunge “L’epistolario notturno”. Ogni sera ella dovrà prendere carta e penna e, come ultima azione della giornata, sul suo cuscino, scrivere al terapeuta una lettera mettendoci dentro quello che vuole, cominciando però sempre con le parole “Caro Dottore”. Ma perché tutto ciò? Perché la bulimia va trattata lavorando sulle relazioni e sul recupero della seduttività femminile fino ad allora rimasta sopita sotto quella morbida corazza.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone, G. (2005). Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Verbitz, T. & Milanese, R. (2001). Le prigioni del cibo. Milano: Ponte alle Grazie.