Esiste davvero il Disturbo da personalità multipla? La risposta è: “Sì, ma è esattamente il contrario di quello che pensi.”
Qualche tempo fa, sulla mia Pagina Facebook, Raffaella* mi ha chiesto di scrivere un articolo in cui dessi risposta alla domanda su uno dei più noti – ormai famigerati – disturbi psicologici: la personalità multipla.
Posto che esiste, e che è anche molto più diffuso di quanto pensiamo (si stima che circa 1 persona su 100 ne soffra), c’è da dire, però, che è molto diverso da quello che televisione, cinema e letteratura ci hanno fatto credere (vedi ad esempio Split, l’ultimo film di M. Night Shyamalan).
Cerchiamo di capire cos’è il Disturbo da personalità multipla e perché tutto quello che sappiamo su di esso è, probabilmente, sbagliato.
Una sola personalità disintegrata
Sveliamo subito il finale: non si chiama più Disturbo da personalità multipla, ma Disturbo dissociativo dell’identità (DDI).
Questo nuovo nome chiarisce molto meglio il funzionamento del problema. Se ci pensi, infatti, dire che una persona ha “personalità multiple” significa dire che ha tante personalità diverse, tutte tranquillamente sviluppate, che si alternano l’una con l’altra.
In realtà, per dirla in parole semplici, la persona sta sperimentando una forte dissociazione, cioè una mancata associazione tra diverse parti di sé. Non necessariamente sono “personalità dissociate”, possono essere anche altre funzioni o stati psicologici, che possono saltar fuori e di volta in volta essere dominanti rispetto ad altri.
Di norma condividiamo tanti stati integrati nella nostra personalità.
Così la persona mercoledì ci appare in un modo, e giovedì in un altro. Perché?
Pensaci un attimo. Quando sei felice e innamorato vedi il mondo tutto rosa e fiori, sei gentile e le persone ti sembrano tutte dolci e carine. Quando però sei drammaticamente arrabbiato, la vita fa schifo, la metro che non passa fa schifo, il nuovo taglio di capelli fa schifo, ed è meglio che non ti mettano un’arma in mano, perché altrimenti…
Fortunatamente, di solito siamo persone piuttosto integrate. Quindi possiamo passare da queste identità in maniera fluida: non è tutto bianco o nero, riusciamo ad avere molte sfumature di diversi colori.
Ma cosa succede se questo non fosse più possibile?
Il Disturbo dissociativo dell’identità
Il DDI prevede una serie di condizioni, tra cui (APA, 2013):
- una disgregazione dell’identità, come ci siamo detti, caratterizzata da due o più stati di personalità distinti (in alcune culture viene definita come “possessione”). Questa comporta una forte discontinuità del senso del sé: significa che quando sono Tizio mi comporto in un modo, mentre quando sono Caio in un altro. Ma non solo: posso anche provare sentimenti diversi, percepire le cose in modo diverso, avere diverse capacità cognitive.Anche qui, non è strano, se ci pensi.
«Scusa Flavio, ma se mi hai appena detto che posso addirittura avere capacità cognitive diverse!»
Sì ma, se ci pensi, quando sei annoiato fai fatica a impegnarti in un compito e a ricordarti a memoria una poesia. Se invece stai ascoltando la nuovissima canzone del tuo cantante preferito, è capace che in 2-3 ascolti impari tutto il testo.Come vedi, anche sperimentare diverse capacità cognitive a seconda dello stato in cui ti trovi è un fatto normale. Il vero problema, con chi soffre di questo disturbo, è che non c’è un’integrazione tra i vari stati. - E infatti un altro problema sono “i vuoti”, cioè il fatto di non ricordare alcune parti delle proprie giornate, perché vissute in un altro stato, cioè dominati da un’altra identità. Anche qui, si tratta di un fenomeno che proviamo tutti (lo chiamiamo “dimenticanza”): solo che se parliamo di Disturbo dissociativo dell’identità ci troviamo di fronte a situazioni in cui queste dimenticanze, oltre a essere frequenti, sono ampie e problematiche, e spesso si hanno solo quando si è in uno stato diverso da quello in cui si è vissuta l’esperienza (e si parla di amnesia dissociativa).In altre parole, di solito se ti dicono “Dai, non ti ricordi che l’altro ieri siamo andati a pranzo?” tu, probabilmente, te lo ricordi (se non te lo ricordi inizia a essere un problema eh…). Nel caso di un DDI invece, molto probabilmente, no.
Cause del Disturbo dissociativo dell’identità
Sai che, occupandomi di Terapia Breve, non amo molto andare a identificare le cause. Attenzione, non è che non me ne importi nulla, anzi: da bravo psicologo ho studiato l’eziopatogenesi (cioè lo studio delle cause che generano una psicopatologia).
Ma, in realtà, per molte problematiche è tutt’altro che possibile identificare una causa univoca. E, soprattutto, perché identificare le cause (se anche fosse possibile) spesso ha poco a che fare con la risoluzione del problema.
Tuttavia, c’è da dire che la ricerca sembra mostrare che per il DDI le cose sono un po’ diverse, quantomeno per le sue forme più gravi. Infatti, è davvero frequente che nei casi più lampanti ci possa essere all’origine il famoso “trauma infantile”.
In realtà, spesso si tratta di più traumi, o meglio, di traumi perpetuati in un periodo piuttosto lungo. Ma può anche trattarsi di un unico, profondo trauma, come una violenza sessuale. Anche ripetute violenze fisiche e/o emotive possono dare il loro contributo allo sviluppo di questo problema.
Ma perché?
Dissociarsi per difendersi
La spiegazione più convincente è, di nuovo, qualcosa che probabilmente hai sperimentato nella tua vita.
Di fronte a una situazione critica, ad esempio un amico ferito o in pericolo, una scena oltremodo raccapricciante, o anche una violenta accusa/critica che ti ha fortemente scosso da un punto di vita emotivo, potresti aver sperimentato un senso di estraniazione, di distacco.
A volte poteva sembrarti di non essere lì presente, o di guardarti da fuori. A volte poteva stupirti la totale assenza di emozioni e sentimenti, o di risposte verbali o comportamentali da parte tua. Insomma, è probabile che in un qualche modo tu stessi vivendo una qualche forma di “dissociazione”.
Bene, adesso immagina un bambino che vive un’esperienza negativissima, come può essere un abuso fisico, o anche solo dei genitori che si pestano (o che lo pestano) senza risparmio. Il bambino potrebbe finire per cercare di distaccarsi da quell’esperienza, per allontanare da sé i vissuti intollerabili davanti a cui si trova, e per i quali non ha ancora sviluppato delle difese più mature, come quelle di un adulto.
Magari vorrebbe reagire con violenza, ma non può, perché sta subendo quelle esperienze negative da una persona che ama (come un genitore). Così ripone queste reazioni, questi vissuti, le intere esperienze all’interno di un cassetto, in una parte di sé, chiudendolo.
Tuttavia, noi non siamo degli armadi: prima o poi quel cassetto si apre e viene fuori tutto il suo contenuto.
Disturbo dissociativo dell’identità: la Terapia Breve possibile?
In realtà, sì.
Chiariamo subito un punto: spesso il DDI ha bisogno di diverse sedute. Non è comune che possano bastare “meno di 10 sedute”, come è tipico con la grande maggioranza delle problematiche trattate con la Terapia Breve. Questo perché di base il lavoro deve vertere ad aiutare la persona a integrare le diverse identità, che hanno cominciato a disgregarsi a partire dall’infanzia.
Parliamo di un problema che non solo spesso ha avuto un’origine violenta (il trauma) e lontana (l’infanzia), ma che anche si è mantenuto e rinforzato nel corso degli anni.
Tuttavia, c’è da dire che in questo caso la Terapia Breve continua ad essere utile. I suoi principi portano terapeuta e cliente a concentrarsi su come il problema funziona oggi; ad esempio va a individuare quali sono quelle caratteristiche che attivano e mantengono il problema in vita nel momento presente.
Si tratta, in altre parole, di una terapia breve a lungo termine, cioè di un’adozione di tecniche e interventi delle terapie brevi sapendo che si avrà necessità di un percorso un po’ più lungo del normale.
In realtà, poi, anche qui dovremmo fare una precisazione. Vista anche la richiesta, io mi sono volutamente concentrato su quelle manifestazioni più problematiche. Anche a livello eziologico (cioè lo studio delle cause del problema), ci possono essere cause meno traumatiche e manifestazioni meno drammatiche.
Questo, come è facile immaginare, spesso comporta anche un lavoro terapeutico meno complesso. In ogni caso, il trattamento di questo problema è possibile, anche fino a una risoluzione totale. E, nei casi in cui questo sia più arduo, si aiuta comunque la persona a migliorare notevolmente la qualità della propria vita.
Capire meglio il Disturbo dissociativo dell’identità
Spero di averti dato un’idea, anche se devo dire che è stato piuttosto difficile, vista la complessità dell’argomento.
Se vuoi approfondirlo ulteriormente ci sono diversi testi che puoi consultare. Uno in particolare, però, è La dissociazione traumatica, di Boon, Steele e van der Hart (2013). Il libro tratta l’argomento da un punto di vista più divulgativo, così da essere alla portata di tutti, anche di chi ne soffre.
Insieme alla lettura, se sperimenti un problema di questo tipo il consiglio principale è quello di rivolgerti a uno psicoterapeuta.
La psicoterapia, infatti, grazie alla formazione specifica dello psicologo, è il canale principale per reintegrare le identità dissociate e risolvere questo problema anche definitivamente.
Ricordati che puoi usufruire della terapia online, che ha la stessa efficacia di quella dal vivo.
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Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
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Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
Boon, S., Steele, K. & van der Hart, O. (2014). La dissociazione traumatica. Comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis.
*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.