È evidente come Internet abbia modificato la nostra realtà: i modi di vivere, le relazioni sociali, il linguaggio e l’educazione. Alcuni dicono in meglio, altri in peggio, il mio obiettivo, chiaramente, non è quello di schierarmi in questa eterna diatriba, ma è quello di aiutare i genitori, e di conseguenza, i ragazzi che “non riescono più ad uscire da un gioco diventato troppo pericoloso”.
Le nuove tecnologie ci permettono di vivere esperienze in ambienti virtuali che hanno, inevitabilmente, ripercussioni sulla realtà quotidiana. Nella navigazione on-line le persone vivono situazioni relazionali spesso appaganti, soprattutto quando si gioca online, relazioni che possono condurre ad un disinteresse verso le modalità interattive reali. Il virtuale, con i suoi reali effetti personali e interpersonali, si sostituisce al reale.
Nell’affiancare i minori e ridurre la dipendenza da videogiochi, risulta fondamentale, il coinvolgimento delle famiglie, ed il lavoro in sinergia con loro, mediante il sostegno alla genitorialità, andando a definire con il ragazzo, fin da subito, regole chiare, relative agli orari di utilizzo dello smartphone e del tempo dedicato all’attività ludica. Ma come vedono la dipendenza dai videogiochi le Terapie Brevi?
Sai “solo” giocare ai videogiochi
Quando i ragazzi rinunciano ad aspetti importanti della propria vita per giocare ai videogiochi, i genitori capiscono che è il momento di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta. La psicoterapia breve strategica è considerata molto efficace nel trattamento della dipendenza da videogioco, in particolare, mediante il coinvolgimento della famiglia e attraverso prescrizioni di comportamento fornite all’adolescente, riesce ad interrompere le tentate soluzioni fallimentari, conducendolo ad un rapido cambiamento ed utilizzo più consapevole dello smartphone, di questo ne parlo in maniera approfondita nel mio articolo “Online e offline: come uscire dalla dipendenza dai videogiochi con le Terapie Brevi”.
Molte persone pensano che il “videogiocatore” sia “un malato” . D’altronde è molto facile “cadere nel tranello”, dal momento che in un manuale statistico è presente il termine dipendenza da videogioco, o quando l’opinione comune (soprattutto in Italia) considera il videogiocatore come uno scansafatiche privo di idee e motivazione. Tuttavia, attraverso le Terapie Brevi, si adotta un punto di vista differente. Un punto di vista che non considera necessariamente la persona con un problema come una persona malata, ma al contrario un individuo con risorse e capacità. Insomma lo vedono come qualcuno che non sa “solo” giocare ai videogiochi…
Ogni paziente ha necessariamente delle risorse, ma molto spesso esse vengono perse di vista. Perciò lo scopo del processo è quello di portare il paziente a ricordare che ciò di cui ha bisogno è già dentro di lui. Infatti notare e sottolineare i punti di forza di un paziente significa aiutarlo a visualizzare il suo futuro, mediante l’uso delle sue risorse, in maniera diversa rispetto al suo problematico presente. Come affermava il filosofo Pascal: “Di solito, ci si convince meglio con le ragioni trovate da sé stessi che non con quelle venute in mente ad altri”. Perciò gran parte della seduta dovrebbe essere spesa per far si che le persone siano guidate nel trovare il loro modo di risolvere il problema mediante le loro potenzialità. Insomma “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”.
Le Terapie Brevi “bannano” le tentate soluzioni disfunzionali
Come primo passo, il terapeuta andrà a bloccare quei tentativi di soluzione che non hanno prodotto risultati e, dopo aver individuato i vantaggi secondari creati nel tempo, andrà gradualmente e rispettosamente ad eliminarli. La collaborazione dei genitori e/o di coloro che vivono nello stesso ambiente è di rilevante importanza, soprattutto quando il paziente si ostina a non riconoscere il problema o se rifiuta la terapia.
Il trattamento dei pazienti non in grado di riconoscere il problema e/o oppositivi è meglio che inizi in maniera indiretta, quindi sarebbe preferibile che in seduta venissero solo i conviventi, ai quali si indica di evitare di interferire nella vita del paziente e di limitarsi ad osservare attentamente senza intervenire, proprio per conoscere bene “il nemico da combattere”. In genere si scopre che il problema si alimenta ogni volta che, chi sta intorno a lui, tenta di spronarlo a parlare del problema o a fare delle raccomandazioni o delle suppliche, insomma, spesso i tentativi dei familiari, compiuti per affrontare il problema, lo incrementano e pertanto vanno bloccati ed eliminati. Bloccando i tentativi di soluzione messi in atto da chi sta intorno spesso si riesce ad intervenire.
Il paziente senza i vantaggi riesce a sentire più nitidamente lo stato di disagio che vive da dipendente. Al culmine richiederà aiuto a chi gli sta intorno, i quali gli consiglieranno di rivolgersi ad esperti per l’intervento. A questo punto, il terapeuta consapevole dei possibili tentativi di boicottaggio da parte del paziente che cercherà di restare legato al piacere viziato che conosce, per evitare il drop-out dovrà muoversi con cautela a piccoli passi e mostrare sicurezza e delicatezza. E poi? Come si conclude questa “partita”? Anche questo te lo racconto nell’articolo “Online e offline: come uscire dalla dipendenza dai videogiochi con le Terapie Brevi”.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone G., Cagnoni F. (2002). Perversioni in rete, Psicopatologie da Internet e loro trattamento, Ponte alle Grazie.
Portelli C. & Papantuono M., (2017). Le nuove dipendenze. Riconoscerle, capirle, superarle. San Paolo Edizioni.