Il gioco e l’azzardo

Rischi del GAP, il Gioco d'Azzardo Patologico

Dott. Flavio Cannistrà, psicologo a Monterotondo e a RomaVinci 2.000 € al mese per venti anni“.
Chi non lo desidererebbe? Il noto miraggio dell’entrata fissa, l’illusione dell’eterno contratto a tempo indeterminato, la sicurezza impalpabile dello stipendio assicurato. Lo sai? La ludopatia, cioè la febbre del gioco, verrà considerata una vera e propria malattia – così com’è già in altri Stati.

Bene o male?
Bene, perché si prende in seria considerazione quello che, a tutti gli effetti, è un problema diffuso con conseguenze gravi e, soprattutto, reali.
Male, perché “malattia” è un termine poco appropriato, troppo medicalizzato, che rischia di deresponsabilizzare l’uomo. “Non posso fare a meno di giocare… Sai, è una malattia”.

Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR) ha assegnato già da tempo la sigla GAP, Gioco d’Azzardo Patologico, a una costellazione di comportamenti quali: eccessivo assorbimento nel gioco d’azzardo; bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori; ripetuti tentativi fallimentari di ridurre, controllare o interrompere il gioco; vera e propria astinenza; bisogno di giocare per alleviare la sofferenza, ecc.
Si parla di gioco d’azzardo, ma la febbre è generalizzata a qualunque gioco. Se prima ci veniva in mente il giocatore di poker chiuso in una fumosa bisca illegale, ora l’immagine è quella più quotidiana dell’operaio, del ragazzo, della casalinga davanti alle new slot, o anche del professionista intento a grattare il bigliettino da 2, da 5, da 10 euro appena comprato. Ma potremmo parlare anche di giochi virtuali e delle ore passate davanti agli schermi…

Qui non ci troviamo di fronte a una malattia, non c’è nessun virus in circolo nel corpo del giocatore, e presunte caratteristiche neurologiche del giocatore non possono diventare uno scudo dietro cui ripararsi.

Si parla anche di un giocatore che vuole sfuggire ai problemi. Siamo nel 2012, siamo in piena crisi, chi non ha problemi a cui sfuggire?
Ma il giocatore è costituzionalmente più debole degli altri” sarà la riflessione di un lettore, “o per qualche ragione più portato a cedere al gioco“. Questa ipotesi è affascinante, ma ci dice poco sulla soluzione. Più interessante è il meccanismo su cui fa leva il gioco – qualunque gioco: il piacere. Si può iniziare per scappare dai problemi, ma si continua perché diviene l’unico piacere dominante, il piacere che divora gli altri piaceri, un piacere affamato, perverso, che succhia il tempo, mastica le risorse, morde la vita al collo.

Come già detto, cercare di cambiare le convinzioni erronee è la strada più ardua e lunga: d’altronde lo sappiamo tutti qual è la probabilità di vincita. Ma la febbre non è per la vincita, è per il giocare. Il vero giocatore gioca per perdere, come ci insegnano autori come Dostoevskij, o Fuster, che disse: “Il gioco è sempre una perdita: di tempo, se non altro”. Questo è il giocatore. Vinta anche una grossa somma non si accontenta, fa un’altra puntata, tenta il tutto per tutto. E’ il brivido che sale lungo la schiena mentre la pallina ruota nella roulette, mentre i numeri compaiono sullo schermo, mentre la patina argentata viene grattata via a muovere tutto.

La verità nel proverbio “il gioco è bello quando dura poco” è proprio qui. Il gioco sano è tale perché, come tutto, ha uno spazio definito e limitato di tempo. Invece qualunque cosa, quando dilaga, ci annega.

Il lavoro da fare con uno psicologo diviene dunque quello di riprendersi la vita, di destinargli altri piaceri, di ricucire dove si è strappato e ricreare dove si è distrutto, costruendo sulle macerie dei disastri creati dalla propria responsabilità, e non da un’invisibile malattia.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia