Il confine tra reale e ciò che non lo è appare ora molto più sottile. Sei online, sei offline. Cerchi nell’offline l’online. Nel mio articolo “Game over: quando si può parlare di dipendenza dai videogiochi?” ho fatto una panoramica sulla dipendenza dai videogiochi e, soprattutto, ho rimarcato il fatto che le Terapie Brevi, in primis, non vedono il paziente come un individuo malato che sa “solo” giocare ai videogiochi, anzi, spesso quel “solo” può essere la risorsa fondamentale da cui partire…
Ad oggi la stragrande maggioranza degli interventi rivolti ai “dipendenti” (a prescindere dalla loro dipendenza) si basa sul concetto unico che la persona sia malata e che vada per questo curata, possibilmente con percorsi lunghi e faticosi. Spesso si dimentica che la consapevolezza è insufficiente per attivare chi è dipendente verso un cambiamento spontaneo del loro comportamento patologico, di cui non riescono a fare a meno. Per questa ragione accade che a richiedere l’intervento non sia la persona dipendente, ma chi gli sta intorno. Questi ultimi provano in tutti i modi ad ottenere cambiamenti, ma spesso sono costretti ad osservare una situazione che di fronte ai loro occhi peggiora giorno dopo giorno. Profondamente provati da ciò che subiscono e disperati finiscono per chiedere aiuto.
Infatti, in questi casi, sarebbe preferibile che in seduta venissero solo i conviventi, ai quali si indica di evitare di interferire nella vita del paziente e di limitarsi ad osservare attentamente senza intervenire, proprio per conoscere bene “il nemico da combattere”. In genere si scopre che il problema si alimenta ogni volta che, chi sta intorno a lui, tenta di spronarlo a parlare del problema o a fare delle raccomandazioni o delle suppliche, insomma, spesso i tentativi dei familiari, compiuti per affrontare il problema, lo incrementano e pertanto vanno bloccati ed eliminati. Bloccando i tentativi di soluzione messi in atto da chi sta intorno spesso si riesce ad intervenire.
Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare
Quando vengono bloccate le tentate soluzioni disfunzionali del contesto circostante, si bloccano anche i “vantaggi secondari” dell’individuo portatore della dipendenza da videogiochi, pertanto è più facile che lui accetti di farsi aiutare da un professionista. Quando questo avviene, durante l’indagine, il terapeuta, farà in modo di trovare punti di contatto (risorse) per creare una relazione funzionale (ovvero per trasformare l’oppositività in collaborazione).
Per cercare di vedere quello di cui il paziente è capace, il terapeuta potrebbe sfidarlo, talvolta anche provocando terapeuticamente. Il terapeuta riconoscerà le esigenze del paziente esprimendo comprensione per le sue difficoltà/incapacità/impossibilità. Per questo insieme al paziente si concorderanno le condizioni: i tempi e le modalità.
Le prescrizioni utilizzate in queste situazioni prevedono la possibilità di scegliere il device preferito per connettersi alla rete e permettono di fare tutte le attività desiderate, ma, per una mezz’ora. Né un minuto di più, né un minuto meno e ad orari stabiliti. In questo modo si ritualizza il rituale. L’obiettivo terapeutico di questa manovra consiste nel mettere ordine nel disordine, per far sperimentare al paziente la possibilità di riprendere il controllo perso.
Il terapeuta breve fa siglare al gamer un contratto “a tempo determinato”
Dopo i primi cambiamenti, si introduce la tecnica dell’intervallo. Consiste nel rimandare l’accensione della console o del dispositivo con il quale si gioca, in prima fase per sette minuti, poi quindici, venticinque e così via. Dopo qualche tempo, si va a complicare l’accesso al device. È una tecnica che si basa sullo stratagemma cinese “partire dopo per arrivare prima”. In altre parole, si chiede al paziente di disinstallare quelle apps che agevolano l’accesso a siti e ad alcune attività che svolge con lo smartphone. Aumentando i passaggi e il tempo di connessione si complica la modalità di accesso al sito, al gioco, ecc.
Raggiunto un maggior controllo sul dispositivo, si invita a non utilizzare il dispositivo di gioco in determinati momenti della giornata, ad esempio durante i pasti, la sera prima di mettersi a letto, a scuola, ecc…
Mentre si procede, gradualmente, si fa in modo che il paziente ritorni ai sani piaceri. Riducendo l’esposizione agli strumenti elettronici e il tempo di connessione, oltre a limitare l’esposizione ai raggi blu, causa della riduzione del sonno e di un maggior affaticamento psicofisico, il paziente riprende il controllo di sé, ritorna ad avere relazioni reali, conquista tempo. In sintesi, si riappropria della vita che stava sprecando, passando facilmente dall’online… all’offline.
Dr Flavio Cannistrà
Co-Fondatore dell’Italian Center for Single Session Therapy
co-Direttore dell’Istituto ICNOS
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone G., Cagnoni F. (2002). Perversioni in rete, Psicopatologie da Internet e loro trattamento, Ponte alle Grazie.
Portelli C. & Papantuono M., (2017). Le nuove dipendenze. Riconoscerle, capirle, superarle. San Paolo Edizioni.