Su e giù, centinaia di volte al giorno. Il mezzo di trasporto più utilizzato al mondo non è l’automobile: è l’ascensore. L’hanno inventato con tutta probabilità gli antichi Romani (un sistema di piattaforme di legno e di corde trainate da animali) ed è stato uno strumento di sviluppo sociale, dato che ha permesso di far evolvere le città verso l’alto e di aumentarne la densità di popolazione.
Ma ci piace?
Pare che negli U.S.A. il numero di vittime dell’ascensore in un anno è pari a quello delle vittime dell’auto ogni cinque ore: è quasi più facile farsi colpire da un fulmine.
Ma le statistiche rassicuranti servono a poco, se c’è di mezzo l’ansia. Quando parliamo di emozioni, infatti, la logica serve a poco. “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende”, diceva Blaise Pascal.
“In ascensore mi sento soffocare…“*
Spesso la paura dell’ascensore, così come più genericamente la claustrofobia, porta la persona a concentrarsi sulle proprie sensazioni: il cuore che batte, il ritmo del respiro, i messaggi del corpo… James e Lange, parlando di emozioni, arrivarono entrambi a una conclusione: non scappiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché scappiamo. In altre parole, prima arriva la sensazione corporea, fisica, e da lì quella emotiva, psicologica. Quando entriamo in ascensore con la convinzione – quasi la predizione – che staremo male (cioè che avremo il batticuore, l’affanno, la stretta allo stomaco…) stiamo attivando il nostro corpo a suscitare quelle risposte. In particolare, poi, concentrarci su ogni sensazione fa sì che quella si accentui, si destabilizzi: la predizione finisce per autoavverarsi.
Nardone (2000) suggerisce di fare un esperimento. Il lettore provi a concentrarsi sul proprio battito cardiaco per cercare di “regolarizzarlo” a piacimento: quello andrà per conto proprio e con tutta probabilità subirà degli evidenti dirottamenti.
In ascensore, così come in altre situazioni che generano ansia, concentrarsi sulle proprie sensazioni aiuta ben poco, anzi, può essere la causa del problema, di quell’escalation che può condurre al panico. In più, il fatto di trovarsi con altra gente in uno spazio stretto, fa sì che ogni sensazione di malessere venga vissuta male anche per l’imbarazzante timore che gli altri possano notare qualcosa – quando, peraltro, in ascensore solitamente ognuno si fa i fatti propri.
Benché difficile da applicare a se stessi, la soluzione primaria è quella di riuscire a distrarsi: parlare con qualcuno, stare al telefono, leggere, mandare un sms, accendere il lettore mp3… Se queste manovre di distrazione dovessero essere insufficienti si può ricorrere alle tecniche di uno psicologo esperto, che in breve tempo, anche online, può portarci a risolvere il problema e a ristabilire un sano rapporto col il mezzo di trasporto più sicuro al mondo.
A cura del Dott. Flavio Cannistrà
psicologo a Monterotondo e a Roma
Riferimenti bibliografici
Franceschini, E. (11 ottobre 2012). Ascensori, piccolo mondo che ci riempie di tic e ansie. LaRepubblica.it
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR.
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.