Il battito accelera, il respiro si strozza in gola, le mani sudano e la fronte si fa calda. Cerchi le parole, ma non le trovi. Hai il testo di fronte, ma non riesci a leggerlo. Uno sguardo sul pubblico che è lì, in attesa, in un silenzio opprimente che amplifica tutte le sensazioni del tuo corpo. Deglutisci, bevi un sorso d’acqua, guardi di nuovo il pubblico: niente. E le luci ti accecano, e il pavimento sembra immenso. Ti asciughi le mani sui pantaloni, prendi un altro sorso d’acqua, schiarisci la voce, ci provi… e fallisci. A quel punto balbetti una scusa e ti allontani di fretta.*
Questa è una descrizione che dà chi ha subito la public speaking anxiety, l’ansia di parlare in pubblico, che spesso viene fatta rientrare all’interno della più vasta categoria di ansia sociale, benché da essa possa esserne scissa.
Per superarla, molti ricorrono a corsi specifici di natura eterogenea: di public speaking, teatrali, ecc., spendendo anche diverse centinaia (se non migliaia) di euro: ma quali sono i risultati? E, soprattutto, servono davvero a qualcosa?
Oggi cercherò di sfatare alcuni miti su come superare l’ansia di parlare davanti a tante persone.
E iniziamo da quel “tante”: non ne servono mille, ne bastano anche due o tre. Le nostre percezioni cambiano rapidamente e ciò che funziona con una persona può non funzionare di fronte a due. In altre parole, possiamo essere ottimi oratori allo specchio o con un singolo interlocutore, persino se sconosciuto, e cadere nel baratro dell’ansia quando gli occhi che ci guardano sono quattro o più.
Questo naturalmente dipende dalla gravità della nostra ansia.
Altra questione è quando il pubblico è molto numeroso.
Qui va fatta una precisazione.
Per lavoro, per passione e in alcune occasioni persino per caso, mi sono trovato più volte a parlare anche di fronte a centinaia di persone. Posso allora dirvi una cosa che già i libri dovrebbero spiegare: un certo livello d’ansia è normale.
Lo è a prescindere, perché l’ansia è uno stato funzionale del nostro organismo, che ci permette di attivarci e rendere al meglio. Figuratevi quindi quando siamo di fronte a decine, centinaia o migliaia di persone!
C’è da dire che, paradossalmente, alcune persone hanno difficoltà di fronte a piccoli gruppi, mentre quando il pubblico è numeroso non sentono altrettanta pressione.
Comunque sia, a prescindere dalle dimensioni, come superiamo l’ansia da palcoscenico?
Una soluzione tentata da molte persone è quella di iscriversi a dei corsi di public speaking, che promettono successi strepitosi e capacità degne di grandi retori, unitamente al fatto di far scomparire l’ansia problematica. In alternativa c’è chi si iscrive per queste ragioni a corsi di recitazione, di impostazione della voce ecc.
La delusione sta nel fatto che spesso i risultati sono minimi o nulli.
«Mi stai dicendo che non servono a niente?»
No, buoni, non sto dicendo questo. Possono essere utili, ma a mio parere solo in 2 situazioni:
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Quando l’ansia è ridotta: è indubbio che doversi esporre in situazioni programmate, come rappresentazioni teatrali, esibizioni, o sessioni organizzate di oratoria, possa aiutare sotto diversi punti di vista: il confronto col pubblico, lo stare sul palco, il riuscire in attività espressive… sono tutte esperienze che ti fanno “mettere in gioco” e che possono veramente aiutare. Tempo fa, ad esempio, una mamma di una bambina mi spiegava come, da quando aveva iniziato danza, la figlia fosse meno introversa e timida. Addirittura, una delle più note tecniche usate in quasi qualunque forma di psicoterapia riguarda la graduale esposizione alla situazione che temiamo.
Il problema, però, è che se l’ansia è tanta (e “tanta” non vuol dire necessariamente “spropositata”) non c’è corso di public speaking o esibizione programmata che tenga. Non perché non servano in sé, ripeto, ma perché in quel caso la persona deve agire in modo mirato, diverso: non basta esporsi davanti a un pubblico. Anzi, a volte c’è chi vive questo momento del corso come traumatico, perché è un po’ come se venisse spinto giù dalla barca senza saper ancora nuotare.
«Ma io conosco l’amico di un mio amico che ha vinto l’ansia da prestazione facendo teatro».
Sì, va bene, ma di fronte a queste situazioni dobbiamo valutare due cose.Prima di tutto, che problema ha? Un’ansia patologica? O un “semplice” livello d’ansia moderato? Perché spesso quando sentiamo questi racconti ci sembra che il protagonista fosse preda di irrefrenabili tempeste ansiogene, quando poi, andando ad analizzare, era poco più che “una persona un po’ ansiosa”.
In secondo luogo, poi, non metto in dubbio il fatto che ci siano persone che magari col corso tal-dei-tali hanno superato persino il loro disturbo di attacchi di panico, ma… quanti sono questi successi? Di storie eccezionali ne è piena ogni giornata, ma ricordiamoci che si tratta appunto di… eccezioni. Se anche 10 persone su 100 risolvessero i propri problemi di forte ansia da performance frequentando un corso di public speaking (da centinaia di euro, aggiungerei), beh, direi che ci troviamo di fronte a un risultato piuttosto mediocre: il 10%.
Considerando che molte forme di psicoterapia ormai sono piuttosto efficaci ed efficienti nel trattamento delle problematiche ansiose più comuni (la terapia breve strategica ad esempio arriva a un successo dell’87% in una media di 7 sedute) direi che è più sano affidarsi a uno psicoterapeuta piuttosto che aspettare che qualcosa accada durante un corso non specifico (ho parlato di questo argomento anche nel mio articolo Migliorarsi Con Spirito Critico: Valutare Il “Miglioramento Personale”). - Quando vogliamo migliorare le prestazioni: teatro, canto, danza, corsi vari sono molto utili (se ben fatti) per migliorare le prestazioni. Sono utili, cioè, per ottenere dei risultati migliori, per apprendere a fare meglio ciò che già sappiamo fare bene, o per imparare a farlo bene quando non sappiamo farlo affatto (o quasi). In altre parole, quando l’ansia non è un problema (o addirittura quando non c’è affatto alcun tipo di problema!).Anche qui, di nuovo: questi corsi potrebbero aiutare a gestire meglio quella quota normale di ansia che è sempre presente. E, attenzione, dico apposta “gestire”: l’ansia funzionale non va fatta scomparire, ma va trasformata in risorsa, in punto di forza. Quindi, se l’ansia è una piccola difficoltà, un sassolino in una scarpa, e non un problema (e men che mai un disturbo più o meno consolidato), questo tipo di corsi potrebbe aiutare. Se invece è qualcosa di più grande, che ci limita e impedisce in una o anche più aree della nostra vita, il mio consiglio è quello di cercare una soluzione ad hoc.D’altronde questo è un discorso che vale un po’ per tutto: se ad esempio voglio perdere 2 o 3 kg per piacere personale posso fare da me (posto che un esperto del settore potrebbe sempre darmi consigli utili); ma se sono sovrappeso, o magari purtroppo anche obeso, allora è decisamente opportuno rivolgersi a uno specialista
Detto questo, è scontato che un terapeuta vi dica di andare da… un terapeuta, per risolvere problemi di questa natura. Ma personalmente ritengo che per risolvere un problema ci siano più strade. Credo però che è bene poter scegliere consapevolmente quella più rapida e indolore (in termini di costi, tempi, risorse messe in gioco ecc.).
Oggi la psicoterapia, per fortuna, è sempre meno vista come una pratica “per chi è pazzo” e sempre più come un insieme di studi e di tecniche che aiutano a liberarsi in tempi anche brevi di problemi e anche solo di semplici difficoltà (come spiego nel mio e-book).
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondimenti:
Procacci, M., Popolo, R., Marsiglio. N. (2011). Ansia e ritiro sociale. Valutazione e trattamento. Milano: Raffaello Cortina.
*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.