“Objects in (the) mirror are closer than they appear” è la scritta che appare sugli specchietti delle automobili. La traduzione di tale scritta è “Gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto appaiano”. Gli specchi possono deformare la realtà, ma a volte anche la nostra mente non scherza. Per questo il dismorfismo corporeo può essere paragonato a quei labirinti dei Lunapark colmi di specchi di ogni tipo, che magicamente ci trasformavano in “Uno, nessuno, centomila”.
Nell’articolo “Dannatamente belli: come riconoscere il dismorfismo corporeo per intervenire” ho argomentato quali sono le azioni, che le Terapie Brevi chiamano “tentate soluzioni disfunzionali”, messe in atto da coloro che sono imprigionati quotidianamente tra gli specchi alla ricerca dei propri difetti peggiori. Oggi, oltre a riassumerle, voglio mostrarti per quale ragione possono essere etichettate come disfunzionali.
4 errori per coprire le proprie (im)perfezioni
- Evitare di mostrarsi nella convinzione che il difetto sarebbe notato da tutti. Questo atteggiamento non fa altro che confermare l’erronea credenza “Ho un difetto”.
- Tentare di mascherare o nascondere il difetto in tutti i modi (es: occhiali, taglio di capelli che copra, abbigliamento abbondante, trucco, ecc…), ma anche ciò non fa altro che sottolineare l’esistenza di un difetto.
- Parlare con gli altri continuamente del proprio problema, innescando da parte degli altri dei tentativi di rassicurazione, e più ci si sente rassicurati più si radica la convinzione di avere un problema.
- Ricorrere a correttivi chirurgici, innescando il famoso gioco delle scatole cinesi, in cui aperta una scatola se ne trova una più piccola, e poi un’altra e un’altra ancora. Infatti spesso, dopo un primo intervento, possono tuttavia emergere altri difetti. Quindi, oltre ad un enorme costo economico, il risultato è quello di stravolgere i propri tratti senza arrivare a una vera soddisfazione o a una soluzione permanente.
Rompi lo specchio con un check-up estetico
Nardone ha introdotto l’utilizzo di una tecnica protocollare finalizzata a smontare gradualmente le percezioni dismorfofobiche. Utilizzando una metodologia basata su logiche paradossale, in cui si chiede di ricercare volontariamente i difetti davanti allo specchio, in uno spazio ben definito.
Secondo Giorgio Nardone, “da un punto di vista neuropsicologico l’atto volontario di alimentare la paura produce un paradosso psicofisiologico; il meccanismo è analogo a quello del limitatore di potenza dei motori che oltre un certo “limite di giri” blocca la produzione di energia, riconducendola sotto la soglia di controllo.
In altri termini, quando la paura viene alimentata volontariamente, il nostro sistema nervoso riduce drasticamente la sua attivazione, e i parametri fisiologici si resettano a livello di funzionalità; tutto ciò retroagisce sulla percezione della minaccia, azzerando la sensazione di pericolo”.
“Spegnere il fuoco aggiungendo la legna” è l’espressione in aforisma codificato da questo principio di logica paradossale, citando Sri Yukteswar “Guarda la paura in faccia e cesserà di turbarti”. Cerca tra i tuoi difetti e troverai lo stupore, perché a volte basta un solo difetto per far scordare agli altri e a te stesso ogni tuo pregio.
Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Bibliografia
Nardone, G., Verbitz, T., Milanese, R. (1999). Le prigioni del cibo. Milano: Ponte alle Grazie
Nardone G., 2013 “Psicotrappole”, Ponte alle Grazie, Milano
Nardone G., 2014 “Oltre i limiti della paura”, BUR, Milano
Nardone G., 2004 “Paura, panico, fobie”, Ponte alle Grazie, Milano