Affrontare la timidezza con uno stratagemma paradossale

psicoterapeuta monterotondo
Come combattere la timidezza con la terapia breve

Come è possibile superare la timidezza, quel tratto di personalità che ci impedisce di entrare in una sana relazione con l’altro?

Spesso il consiglio degli amici è semplice: “Vai! Buttati!”. Interessante e sicuramente pieno di buon senso. E, ti dirò, anche tecnicamente giusto da un certo punto di vista: affrontare le cose che ci fanno paura è il modo migliore per far svanire la paura stessa.

Peccato che, in questo caso, il consiglio parte da un presupposto totalmente sbagliato.

Prepararsi alla timidezza

Sei a un esame, ma non ti sei preparato.
Stai per fare una maratona, ma non hai mai corso.
Stai per partire per l’Inghilterra, ma non hai mai parlato inglese prima.

Queste tre situazioni hanno una cosa in comune: la mancanza di preparazione.
Il consiglio che generalmente si dà a chi è timido (“Ti devi buttare”) è utile, ma non tiene in considerazione un principio fondamentale: non tutti riescono a saltare dallo scoglio senza pensarci.

Ad alcuni viene facile. Arriva lì, sullo scoglio, e salta. Stop. Punto. Niente di più, niente di meno.
Ma per altri non è così. E con la timidezza è lo stesso: se “non ti viene”, è molto difficile farlo.

Le soluzioni di chi è timido

Purtroppo, però, di fronte a questa situazione il timido (o la timida) fa tipicamente due cose:

  1. Evita: semplicemente “non si butta”, non ci prova. Il che purtroppo è un problema, perché tutte le volte in cui eviti qualcosa ti stai confermando che per te è troppo difficile, troppo grande, che non sei in grado o, con un’altra parola, che sei… timido! Ecco che così evitare significa calzarsi addosso sempre di più l’etichetta pseudodiagnostica della “timidezza”. Diventa una narrazione della tua storia personale: “Sai, sono timida…”. Finisce per diventare più reale del reale. Quasi come se la timidezza fosse una malattia.

    Nota: secondo te l’industria farmaceutica poteva lasciarsi scappare questa cosa? No, e infatti qui e lì, sebbene non – ancora – in modo ufficiale, si spacciano farmaci per la timidezza.
    Nota sulla nota: non esistono farmaci specifici per la timidezza; semmai esistono degli ansiolitici e degli antidepressivi, che sono tutt’altra cosa. La timidezza non è una malattia, ma un tratto del carattere appreso per via di comportamenti disfunzionali – come l’evitamento, appunto.

  2. Si fa aiutare: dall’alcol, dal fumo, dall’amico, o da qualunque altra cosa/persona che in qualche modo lo aiuti a superare l’impasse e a sentirsi un po’ più coraggioso. Potrebbe essere anche utile, se non ché c’è il rischio di diventare dipendenti: non dalla sostanza, ma dall’aiuto stesso. Infatti se in un’occasione riesco a ottenere un risultato grazie a un aiuto potrebbe andarmi bene, nel senso che nelle occasioni successive ce la faccio da solo; ma potrebbe anche andarmi male, nel senso che nelle occasioni successive ho di nuovo bisogno dell’aiuto. E secondo te la maggior parte delle volte va bene o va male?

    Se tutte le volte i concorrenti di Gerry Scotti potessero chiedere l’aiuto da casa, facendolo si comunicherebbero una cosa drammatica: “Da solo non sono in grado”. Il paradosso dei paradossi: ciò che ti aiuta ti rende più debole.

Il paradosso come arma terapeutica

Mi sembra allora sano utilizzare proprio la forza del paradosso, per venirne fuori.
Non è una cosa strana, soprattutto nell’ambito delle terapie brevi. Qui, infatti, il paradosso è stato utilizzato in svariati modi per creare delle soluzioni a problemi altrimenti irrisolvibili.

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Alla ricerca di un significato della vita (Victor Frankl)

La tecnica paradossale che ti propongo ha tanti nomi e declinazioni.
Lo psicologo Victor Frankl la chiamò intenzione paradossale, riferendosi in particolare alla possibilità di manifestare volontariamente un sintomo (cosa che, di fatto, annulla il sintomo stesso – lo so, è complesso da capire, ma credimi è ancora più complesso da spiegare, mentre è molto facile da applicare).
Peraltro lo stesso Frankl era uno che non si lasciava scoraggiare: psicologo finito nei lager nazisti, fu tra i nomi principali degli approcci terapeutici detti “esistenzialisti”. Un suo libro molto interessante, che consiglio non tanto a chi vuole risolvere rapidamente un problema, ma più a chi vuole guardare l’uomo da un’ottica esistenzialista, è Alla ricerca di un significato della vita.

Comunque sia, dicevamo: paradosso e psicoterapia.
Successivamente a Frankl la Scuola di Palo Alto formalizzò diverse tipologie di prescrizioni paradossali, e negli stessi anni (gli anni ’70) in Italia avevamo la cosiddetta Scuola di Milano, un gruppo di psicoterapeuti capeggiato da Mara Selvini-Palazzoli che innovò le tecniche terapeutiche in tutto il mondo, e di cui uno dei libri più conosciuti è chiamato proprio Paradosso e controparadosso (bellissimo).

Questo per dire che l’utilizzo del paradosso in psicoterapia vanta una lunga e corposa tradizione, di cui qui ti ho citato appena un decimo degli autori più rilevanti.

Ma veniamo all’uso del paradosso per vincere la timidezza.

La mitridatizzazione

In questa declinazione particolare, potremmo parlare di mitridatizzazione.

Questo termine quasi impossibile da pronunciare deve il suo infausto nome a Re Mitridate, il quale era decisamente paranoico: temeva di continuo che qualcuno potesse avvelenarlo.

Piccola nota psicologica: Re Mitridate è vissuto tra il II e il I secolo a.C., in un’epoca in cui per un Re morire avvelenato era comune quasi quanto trovare la Nomentana intasata alle 7:30 di ogni mattina. Questo cancella del tutto l’ingiusto appellativo di “paranoico”, mostrandoci come le etichette diagnostiche siano soggette agli influssi del contesto storico e geografico.

Comunque, Mitridate pensò bene di fare una cosa per immunizzarsi dal veleno: assumerne ogni giorno una piccola dose. La cosa funzionò talmente bene che, giunto alla disfatta del suo regno tentò di suicidarsi bevendo del veleno, ma questo non gli fece un baffo! Così si fece infilzare da una spada, per la quale non c’è tecnica paradossale che tenga.

A questo punto, come puoi mitridatizzarti dalla tua timidezza?

Immunizzarsi alla timidezza

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Vincere la timidezza con una tecnica paradossale

Il consiglio degli amici è giusto, ma arriva al momento sbagliato.
Come dicevamo sopra, un esame dev’essere preparato; per una maratona ci si deve allenare; per vivere a Londra è utile conoscere un po’ d’inglese prima.

Lo stesso vale per la timidezza: per affrontarla, devi prima immunizzarti ad essa.
Questa tecnica la uso spesso con chi soffre per la timidezza ed è tanto semplice quanto efficace: ogni giorno, sottoponiti volontariamente a una piccola, piccolissima situazione che ti genera imbarazzo o disagio. La devi scegliere tu, non i tuoi amici, e dev’essere davvero piccola, così come piccola era la dose di veleno assunta ogni giorno da Re Mitridate.

Ad esempio, potresti chiedere l’ora a una bella sconosciuta. O potresti fare una piccola battuta di fronte a delle amiche. O ancora potresti inserirti in una discussione tra persone che non conosci, in fila alla posta. Gli esempi sono infiniti e in realtà soltanto tu sai quali sono i più adatti alla tua situazione peculiare.

Infatti, le situazioni le scegli tu, basta che rispetti 2 condizioni:

  1. dev’essere qualcosa di molto, molto piccolo
  2. dev’essere qualcosa che comunque ti genera una sensazione (minima) di imbarazzo

Per renderla ancora più facile, se ne avessi bisogno, puoi usare due tattiche di contorno: una è l’anticipazione, in cui appunto anticipi l’imbarazzo che proverai (ad esempio dicendo: “Scusate, forse sto per dire/fare/proporre una cosa stupida…”); l’altra è la giustificazione, in cui ti scusi per la cosa che hai fatto (“Forse ho detto una cavolata?”).

Queste due tattiche in realtà rallentano leggermente il processo di mitridatizzazione, ma lo rendono più facile per quelle situazioni sentite come davvero invalidanti.

Cambiare l’immutabile

La timidezza, dicevamo all’inizio, è in buona parte un apprendimento: ciò che fai influenza ciò che senti. Se eviti di continuo le relazioni e interazioni sociali, o se ti fai aiutare da cose/persone, ti comunicherai ogni volta: “Sono timido/a”. Questa, seguendo la più classica delle regole dell’apprendimento, sarà una goccia che scava la roccia fino a creare un solco tangibile: la timidezza.

La fortuna è che la roccia si può modellare in una forma nuova e speciale proprio utilizzando la timidezza stessa: inserendola poco a poco, tutti i giorni, nella tua vita in modo volontario e deliberato, in situazioni scelte ed elaborate da te. Così, a poco a poco, ti immunizzerai a tutte quelle sensazioni sgradevoli che ti dà la timidezza, e arriverai al giorno del salto preparato e sicuro.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve e Ipnosi