Milton Erickson, uno degli psicoterapeuti più influenti della storia, soffrì di una sindrome post-poliomielite che lo costrinse a sopportare atroci dolori per parecchi anni prima della morte. Un giorno, mentre si trovava con uno dei suoi più importanti allievi, Jeffrey Zeig, confessò: “Sai, Jeff, stanotte ho provato un dolore così atroce che credevo di morire”.
Zeig conosceva la storia di Erickson, la sua malattia, il primo attacco di poliomielite all’età di 17 anni (di cui sarebbe dovuto morire, secondo i dottori), l’atonia, l’aritmia, l’amusia, l’essere costretto da anni su una sedia a rotelle. Lo guardò e gli chiese: “Mi dica, Dottor Erickson: come ha fatto ad arrivare alla sua età con tutti i suoi problemi e sfortune? E come ha fatto a fare le cose che ha fatto?”.
Erickson si fece serio in volto e rispose: “A un certo punto, Jeffrey, ho pensato che avevo solo due possibilità: o mi impegnavo ad avere una vita meravigliosa, la migliore possibile, la più piena possibile, nonostante i miei limiti, oppure potevo fare una vita schifosa afflitto dai essi”.
Oggi dirò una cosa moralisticamente impopolare: alcune cicatrici continueranno a farci male, e potremmo non riuscire a guarirle del tutto.
“Dobbiamo arrenderci al dolore?“*
Dobbiamo considerare che a volte potrebbe essere un indesiderato compagno di viaggio.
“Ma come psicologo non dovresti dire che qualunque cosa si risolverà per il meglio?“
Mi crederesti? A volte, per la maggior parte dei problemi che tratto, è così. Ma è innegabile che nella vita esistano mali che ci accompagnano; come un’ombra, che è sempre lì benché te ne possa dimenticare per la maggior parte del giorno.
La maggior parte dei grovigli, per quanto complicati, si srotola e scioglie muovendo i giusti fili nelle giuste direzioni. Ma a Milton Erickson, costretto su una sedia a rotelle coi suoi dolori lancinanti, cosa avremmo dovuto dire? “Vedrai che passerà”?
Non è arrendersi: è accettare.
“È che a volte nell’accettazione c’è un tale senso di resa…“
Perché forse si sta combattendo una battaglia da non combattere.
“E come capiamo quando ci si trova di fronte a questo tipo di battaglie?“
Credo che siano rare, poche, e che siano evidenti.
Accettare, in questi casi, vuol dire vivere la vita al meglio nonostante ciò che è irrimediabile. Lao Tse parlava spesso di un concetto simile: ciò che muta e ciò che è immutabile. E il compito della psicoterapia non è, non può essere, quello di mutare l’immutabile.
“Accettare e continuare a vivere al meglio…“
In realtà lo facciamo tutti, tutti i giorni, e a volte è la chiave che ti ha aperto la porta principale a ciò che sei diventato.
“Nel male…“
…e anche nel bene, sì.
Io lavoro anche con persone che non vengono da me per risolvere un problema, ma per trovare il sostegno e accettare che quello sarà il loro compagno di viaggio. Come quelle ferite che, una volta smesso di sanguinare, diventano cicatrici che ogni tanto, col cambio del tempo, potranno fare un po’ male.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Riferimenti bibliografici
Erickson, B.A., Keeney, B. (2006). Milton H. Erickson. Un guaritore americano. Milano: Dialogika, 2011.
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.