
Sai qual è uno dei problemi principali dell’uomo? La rigidità.
Milton H. Erickson, psicoterapeuta e ipnotista di grande fama e umiltà, sosteneva che il suo lavoro consisteva principalmente nell’aiutare la persona a ottenere più possibilità di scelta.
Il suo bellissimo libro La mia voce ti accompagnerà è pieno di storie con questo obiettivo.
Allargare i confini della coscienza, cioè vedere più scelte laddove sembra non essercene alcuna.
Quante volte ti sembra di avere una sola possibilità, una sola scelta, un solo modo di fare le cose? E quante volte – peggio – questo limite nemmeno ti si palesa davanti agli occhi: semplicemente lo agisci.
Oggi ti racconto una storia che spero ti aiuterà a superare questo blocco.
Forse l’avrai già letta, ma probabilmente non conosci la vera storia legata ad essa.
Hanno detto che a raccontarla fu Ernest Rutherford, chimico e fisico neozelandese considerato padre della fisica nucleare, e che il ragazzo della storia era Niels Bohr, nobel per la fisica nel 1922.
Falso.
In realtà fu raccontata e scritta da Alexander Calandra, scienziato, insegnante e scrittore, nonché visiting professor all’Università di Chicago tra il 1945 e il 1948, come assistente di Enrico Fermi. Successivamente continuò a insegnare in altre Università e a venir chiamato per i suoi studi e lavori.
La storia che sto per raccontarti si chiama Angels on the Head of a Pin (Angeli sulla cruna di un ago, o anche solo Angels on a Pin) e comparve per la prima volta nel 1961, all’interno del suo libro The Teaching of Elementary Science and Mathematics.
Questa storia fu un attacco.
Un attacco ai metodi di insegnamento rigidi e ipertrofici.
Devi sapere infatti che in quel periodo gli Stati Uniti vivevano la cosiddetta “crisi dello Sputnik“. Pochi anni prima, nel 1957 (piena Guerra Fredda), l’Unione Sovietica aveva lanciato in orbita il primo satellite della storia, lo Sputnik 1.
Gli Stati Uniti entrarono nel panico: questo evento minava la loro presunta superiorità tecnologica e missilistica nei confronti degli avversari russi. Le conseguenze furono uno spasmodico e ansioso tentativo di recuperare lo svantaggio, investendo parecchi soldi nello sviluppo del Paese.
E cosa c’entra questo con i metodi d’insegnamento?
Beh, moltissimi milioni furono investiti proprio nel sistema educativo, per la grande paura di rimanere indietro, di avere studenti – e quindi futuri ingegneri, fisici, chimici, matematici e lavoratori di ogni genere – inetti e incapaci di competere con i Russi e col mondo.
Queste reazioni, se da un lato portarono indubbi benefici e un fortissimo e proficuo sviluppo degli Stati Uniti, dall’altro, però, condussero anche a un clima di elevata ansia da performance e, paradossalmente, a un insegnamento a volte rigido e standardizzato: riempire la testa degli studenti fino all’orlo, con l’obiettivo di aumentare il più rapidamente possibile le capacità, le conoscenze e l’intelligenza stessa, spesso otteneneva proprio l’effetto contrario.
Hai presente quello che molti ragazzi sentono in questi anni di crisi? “Dovete fare di più. Il mercato è saturo. Dovete trovare nuove idee. Dovete dare più del massimo. Siete già indietro”.
Ecco, uno scenario del genere.

Questa storia è secondo me di grande ispirazione.
Ti insegna ad avere la mente più aperta, di concederti più strade da percorrere, di vedere il mondo nelle infinite possibilità che puoi sperimentare, e di capire, così, che i tuoi problemi possono sembrare terribili, apparentemente senza uscita – o con un’unica, impraticabile, soluzione – ma che puoi essere tu a decidere il punto di attacco da cui affondare il tuo colpo per cominciare a smontarli.
Ho trovato diverse traduzioni online, ma nessuna mi piaceva. Quindi ho tradotto personalmente il testo originale, così come fu ripubblicato sul The Sunday Review n°21 del 1968.
Buona lettura.
Qualche tempo fa ricevetti una telefonata da un collega che mi chiese se avessi voluto fare da giudice per correggere la domanda di una verifica: era pronto a dare uno zero a uno studente per la sua risposta a un problema di fisica, mentre quello sosteneva di meritare un pieno punteggio, domandandosi se non fosse il sistema di verifica a essere stato truccato contro di lui. Sia l’esaminatore che lo studente furono d’accordo a sottoporre la questione a un arbitro imparziale, e così venni contattato io.
Andai nell’ufficio del collega e lessi la domanda della verifica: “Spiega come è possibile determinare l’altezza di un grande edificio con l’aiuto di un barometro”.
Lo studente aveva risposto: “Porta il barometro sulla sommità dell’edificio, legalo a una lunga corda, calalo verso la strada, e poi tiralo su, misurando la lunghezza della corda: questa corrisponderà all’altezza dell’edificio.”Sostenni che lo studente meritava davvero un voto pieno, poiché aveva risposto alla domanda in modo completo e corretto. D’altra parte, se gli fosse stato dato, quel voto avrebbe contribuito a un alto punteggio nel corso di fisica, che dovrebbe valutare le competenze nella materia, le quali non trasparivano dalla risposta. Così suggerii di dargli un’altra possibilità.
Non mi sorprese che il collega accettò, ma che lo fece lo studente.Gli diedi sei minuti per rispondere, con l’avvertimento che avrebbe dovuto dimostrare qualche conoscenza della fisica. Dopo cinque minuti non aveva ancora scritto. Gli chiesi se voleva arrendersi, ma disse di no: conosceva molte risposte alla domanda, stava solo scegliendo la migliore. Mi scusai per averlo interrotto e gli chiesi di andare avanti. Nel minuto rimanente buttò giù la sua risposta, che suonava così: “Porta il barometro in cima all’edificio e sporgiti dal bordo dell’edificio. Lascialo cadere e misura la caduta con un cronometro. Poi, usando la formula S = ½at², calcola l’altezza dell’edificio.”
A questo punto chiesi al mio collega se fosse lui a volersi arrendere. Accettò, e diedi allo studente un voto eccellente.Uscendo dall’ufficio del collega ricordai che lo studente aveva detto di avere in mente diverse risposte al problema, così gli chiesi quali fossero.
“Oh sì” rispose. “Ci sono molti modi per ottenere l’altezza di un edificio con l’aiuto di un barometro. Per esempio, potresti portarlo con te in una giornata di sole e misurare la sua altezza, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra dell’edificio, e facendo una semplice proporzione, determinare l’altezza dell’edificio.”
“Carino” dissi. “E le altre?”
“Dunque” disse lo studente. “C’è un metodo di misura molto semplice che ti piacerà. Seguendo questo metodo prendi il barometro e comincia a salire le scale dell’edificio. Mano a mano che sali, segna sul muro l’altezza del barometro; infine, conta il numero di segni: questo ti darà l’altezza dell’edificio secondo l’unità di misura del barometro. Un metodo molto diretto.
Naturalmente, se vuoi un metodo più sofisticato, puoi legare il barometro a un laccio, dondolarlo come un pendolo, e determinare il valore di ‘g‘ al livello della strada e sulla cima del palazzo. In linea di principio, dalla differenza tra i due valori di ‘g‘ può essere calcolata l’altezza del palazzo.”Infine sostenne che c’erano molti altri modi di risolvere il problema.
“Probabilmente” disse “il migliore è quello di portare il barometro al piano terra e bussare alla porta del custode. Appena risponde gli chiedi: ‘Signor custode, ho qui un magnifico barometro. Se mi dice l’altezza di questo palazzo glielo regalo.'”A questo punto chiesi allo studente se davvero non conoscesse la risposta convenzionale alla domanda. Ammise di conoscerla, ma disse di essere stufo delle pretese dei professori di scuole superiori e college di insegnargli a pensare, a usare “il metodo scientifico”, e a esplorare in modo pedante la profonda logica nascosta nei problemi, come viene fatto nelle nuove matematiche, piuttosto che spiegargli la loro struttura.
Con questo in mente, aveva deciso di viversi i giorni di scuola come un’avventura accademica, per sfidare le classi americane impanicate dalla crisi dello Sputnik.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Letture consigliate:
Calandra, A. (1968). Angels on a Pin. The Sunday Review, 21, p. 60.
Erickson, M.H. (1982). La mia voce ti accompagnerà. Roma: Astrolabio, 1983.