Che cos’è la realtà?
Il poeta Hugo von Hofmannsthal ha un’idea in proposito: “Tutto ciò che è creduto esiste, e soltanto questo” ha detto.
Potresti pensare che la realtà è lo schermo del computer, o del telefonino o tablet attraverso cui stai leggendo questo articolo, o la sedia su cui sei seduto. Insomma, sono lì, li tocchi, sono reali, no?
È un po’ più complesso di così e questa complessità ci crea un sacco di problemi.
Ma come li risolviamo?
Vediamo.
Innanzitutto pensa che ci sono almeno due livelli di realtà. Paul Watzlawick li ha definiti così: 1) realtà di primo ordine: cioè, semplificando, tutti gli oggetti e i fatti (la sedia, il tablet, lo scambio di comunicazioni tra due amici, il sesso col proprio partner, ecc.); 2) la realtà di secondo ordine: cioè i significati che noi diamo a quegli oggetti e fatti (quindi la sedia diventa “comodità”, il tablet diventa simbolo di status sociale, lo scambio di comunicazioni può essere un modo per dimostrare chi è più intelligente, e il sesso si trasforma in un atto di dichiarazione d’amore).
Epitteto, che venne qualche secolo prima, disse: “Guardate, non è che abbiamo paura degli oggetti e dei fatti, ma dei significati che gli attribuiamo”.
Gli psicologi, almeno in parte, concordano.
Prendiamo la Costa Concordia: un evento indubbiamente traumatico, eppure solo alcuni hanno sviluppato una sintomatologia invalidante (ansia, attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress…). Perché, in base alla storia personale, ciascuno darà un differente significato all’evento e lo vivrà in un differente modo.
“Quindi è vero che bisogna andare nel passato, ripercorrere la propria storia personale, per risolvere un problema?“*
No, aspetta. Questa è una confusione che si fa di continuo.
“Ma tu hai detto…“
Io ho detto che in base alla propria storia personale si potranno sviluppare o meno certi problemi, ma non ho detto che per risolverli bisogna ripercorrerla.
“Uhm, giusto. È che farlo sembra la naturale conseguenza. Cioè, se la mia storia determina i miei problemi mi viene da pensare che devo agire su di essa per risolverli“
Sì, è vero, sembra così. Però andiamo a vedere meglio come funziona.
Innanzitutto non è che la tua storia determina automaticamente il tuo problema. Cioè, non è che se da bambino hai vissuto la separazione dei tuoi allora da adulto avrai per forza dei problemi – e se li avrai non è detto che dipenderà strettamente da questo. Anzi, per qualcuno potrebbe essere addirittura una risorsa.
Più semplicemente, la nostra storia ci apre determinati scenari.
“Quali?“
Eh, mica è facile dirlo. Anzi. L’uomo non è matematica e 2 + 2 non fa sempre 4.
La tua storia di sicuro è anche la culla dei tuoi problemi, ma lo è nello stesso modo in cui il famoso battito di farfalla in Cina sviluppa un tornado in America.
“Quello che dici, in pratica, è che ogni evento che viviamo, ogni scelta che facciamo…“
…ogni passo mosso, ogni strada percorsa, ogni porta aperta o lasciata chiusa…
“…ci porta ad essere in un modo piuttosto che in un altro“
Ci porta ad essere ciò che siamo.
“E questo, magari, può essere il motivo per cui di fronte alla Costa Concordia io ne esco psicologicamente illeso – a parte magari un comprensibile spavento – e qualcun altro cade in depressione“
Esatto. E tutto questo ha poco a che fare con la risoluzione del problema.
“Cioè?“
Il fatto che la mia storia personale mi porti a essere quel tipo di persona che, per esempio, di fronte al terremoto reagisce con un’ansia intensa, non significa che per risolvere quell’ansia dovrò andare a lavorare su quella storia personale.
“Anche perché la storia personale ormai… è storia!“
È passato, è andata. E per quanto parlare del nostro passato ci faccia sentire bene (si chiama “effetto catartico”) risolvere il problema è un’altra cosa.
“Quindi?“
Quindi la nostra storia personale determina dei modi di essere, di percepire il mondo, di reagire a esso, e sono questi che possono finire per creare dei problemi. Come appunto diceva Epitteto: “Gli uomini non sono agitati e turbati dalle cose, ma dalle opinioni che hanno delle cose” e dalle conseguenti azioni che mettiamo in atto per via di queste opinioni.
Ecco su cosa dobbiamo lavorare, generalmente, per risolvere un problema: su ciò che siamo ora, non su ciò che abbiamo vissuto nel passato.
“Eppure alcuni traumi continuano a tornare, a invadere il presente”
Giusto, e in quel caso dovremo lavorare ancora una volta su ciò che viene determinato nel presente, non sul ripescare quello che è stato nel passato.
“Quindi, in ogni caso, lavoro sul qui ed ora”
Esatto.
“E ci dici come fare?”
La prossima settimana. Oggi abbiamo parlato veramente tanto.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Riferimenti bibliografici
Watzlawick, P. (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Milano: Ponte alle Grazie.
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.