Cosa succede durante una mia seduta di terapia?
Oggi spiego proprio questo.
Spesso le persone non sanno che esistono diversi tipi di psicoterapia, così quando vanno da uno psicoterapeuta non sempre sanno come lavora e cosa faranno in studio con lui.
Io mi occupo da anni di terapia breve, e in particolare sono specializzato in Terapia Breve Strategica.
Ma che cosa significa?
Cosa si fa durante il primo incontro?
Di cosa si parla?
E soprattutto: cosa faccio io con quello che mi dice il cliente?
La prima telefonata
Solitamente le persone mi contattano via telefono o via mail, chiedendomi un appuntamento in studio o online.
Alcuni vogliono solo fissare l’incontro, altri mi chiedono di poter spiegare brevemente il problema, e altri ancora chiedono un po’ di informazioni.
Qualunque sia la richiesta, a me va bene. Questo primo contatto è già importante, per almeno due motivi.
Il primo è che so che all’altro capo del telefono c’è qualcuno con un problema, quindi mi sembra giusto che al telefono mi dica ciò che vuole lui. Se vuole darmi già alcune informazioni, bene; se preferisce prendere solo l’appuntamento, bene uguale: quando ci vedremo parleremo meglio del problema.
Ogni tanto qualcuno pensa: “Oddio, devo chiamare uno psicologo: che dovrò dirgli?”. In realtà non c’è niente di strano da dire o fare: può dirmi quello che, secondo lui, per quella telefonata è importante. Se ha paura di dimenticare qualcosa può sempre richiamarmi.
Il secondo motivo è che, quando la persona vuole accennarmi al problema, io non ho alcun motivo per rifiutarmi e dire: “No guardi, deve aspettare la seduta.”
Peraltro molte ricerche mostrano che già parlare per 2-3 minuti del problema al telefono con lo psicologo da cui si vuole andare, aiuta la persona: è come se in quel modo, parlandone per la prima volta con quel professionista, mettesse in moto l’idea del “mi sto prendendo cura di me, sto facendo qualcosa per me stesso”. Così, se la persona vuole farlo, la ascolto con piacere.
Il primo appuntamento
A quel punto, alla fine della telefonata, scegliamo insieme il giorno e l’orario e do altre eventuali informazioni (indirizzo dello studio, durata della seduta, costi…).
Al primo appuntamento la persona arriva, citofona e si accomoda nella sala. Dopo ci presentiamo, ovviamente, e solitamente la domanda con cui inizio è questa: “Qual è il problema che la porta qui da me?”
A volte qualcuno è un po’ agitato, o in difficoltà, o in imbarazzo. In quel caso vien da sé che si inizia con un paio di scambi più informali, come è normale che sia.
Capire qual è il problema
Prima di tutto devo capire qual è il problema della persona e come funziona.
«Ma se dice che è depresso, sarà depresso: che c’è da capire?»
Il fatto che ci sono almeno due cose importanti da considerare.
La prima è che non tutti sanno dire di preciso cosa c’è che non va: spesso vogliono essere aiutati proprio a capirlo meglio. In più magari tu per “depresso” intendi una cosa, e io un’altra. E per me è importante capire cosa intendi tu.
La seconda è che problemi simili fanno stare male in modi diversi. Quindi se tu sei depresso, o se hai gli attacchi di panico, o se sei appena uscito da una storia importante, stai male nel tuo modo personale, e a me interessa capire questo. Altrimenti basterebbe un libro di ricette, da usare per tutti nello stesso modo.
«E come fai a capire qual è il problema specifico e come funziona?»
Ascolto. E faccio domande. E ogni 3-4 domande chiedo: “Vediamo se ho capito bene, correggimi se sbaglio: la situazione è questa…” e ripeto, a parole mie, quello che ho compreso fino a lì. Così la persona, oltre a sentire il suo problema visto con gli occhi di un altro (e non immagini quanto questo aiuti già a chiarirsi le idee), può confermare, e dirmi che siamo sulla giusta rotta, o correggermi, e aiutarci a comprendere meglio. Sì, aiutarci, perché già nello spiegare con nuove parole cosa c’è che non va permette di iniziare ad affrontare la cosa in modo diverso.
Capire cosa non funziona
Perché soffriamo per qualche problema?
Il discorso potrebbe essere infinitamente ampio, ma riduciamolo a due grandi motivazioni: per il modo in cui vedi le cose e per quello che fai.
Durante il nostro primo incontro, oltre a capire il problema mi faccio anche un’idea del personale modo di vedere le cose che ha quella persona. Per “cose” intendo in particolare come vedi te stesso, come ti vedi in rapporto agli altri, come ti vedi in rapporto al “mondo”. Queste sono informazioni molto preziose.
A volte, infatti, non abbiamo un’ottima immagine di noi stessi; o non pensiamo di essere all’altezza degli altri, o alla pari, o di riuscire ad avere delle relazioni sane con loro; o non crediamo di riuscire a farcela di fronte a certe sfide, ostacoli, problemi che il mondo ci pone.
Tutto questo a volte può diventare un limite, e spesso è la base da cui poi si sviluppano anche i sintomi psicologici: attacchi di panico, umore depresso, ipocondria, persino alcune psicosi (come fossero una “fuga dalla realtà” percepita troppo minacciosa).
Inoltre, sempre ascoltando e facendo delle domande, arrivo a comprendere meglio quello che fai.
Perché, ovviamente, ciò che vedi determina ciò che fai. E spesso questo diventa un circolo vizioso, cosicché ci incastriamo in una serie di atteggiamenti e comportamenti che mettiamo in atto e da cui non riusciamo a liberarci, o che vorremmo fare ma per i quali ci sentiamo bloccati.
La Strategia
Durante il nostro incontro, oltre a farti domande, ti proporrò anche delle nuove prospettive, dei nuovi modi di vedere le cose.
Pensa a questo: perché andiamo da uno psicologo? Perché si vede che, con quello specifico problema, da soli non siamo riusciti a trovare una soluzione. È una condizione del tutto normale (così come quando hai un problema alla macchina vai dal meccanico) e spesso una figura esterna al problema, che ha studiato il comportamento e il pensiero umano (e i suoi sgambetti), ci aiuta.
Così, ascoltando ciò che viene detto, durante l’incontro comincio a proporre altre soluzioni, altri modi di vedere le cose. E dico “altri” perché non sono “giusti” o “migliori”: semplicemente a volte la stessa cosa può essere vista in più modi, e alcuni di questi sono utili per far sì che quella cosa non sia più un problema. E, più in generale, a volte non è che stiamo facendo una cosa sbagliata (a volte sì, ovvio): stiamo facendo una cosa che in quel momento e per quel problema semplicemente non sta funzionando – anche se potrebbe aver funzionato in passato o per situazioni diverse.
Infine, uno dei punti di forza di molte terapie brevi è il fatto di suggerire delle indicazioni alla fine della seduta: semplici cose da fare tra una seduta e l’altra.
Questa è stata un’innovazione di alcune psicoterapie, e in particolare della Terapia Breve Strategica, per aiutare la persona, in modo molto semplice ed efficace, a sbloccare il problema più rapidamente.
E poi?
Ho scelto di studiare le terapie brevi perché sono… brevi!
Solitamente quando la persona torna per il secondo appuntamento, avendo fatto il compito, la situazione ha già avuto un primo miglioramento. Molti addirittura hanno già grandi miglioramenti, ma naturalmente dipende dal problema e dalla persona.
Comunque sia, il compito che ho dato diventa anche uno strumento di feedback: oltre a dirci se la persona sta meglio, ci dice anche come sta. Da lì le sedute successive servono per capire in che direzione sta andando il miglioramento e come consolidarlo e renderlo via via più solido e completo.
Solitamente, parlando di terapia breve, la terapia dura tra le 6 e le 10 sedute. Naturalmente dipende dai casi, e a volte ne possono servire alcune in più, così come, in altri casi (non così rari come si potrebbe pensare), basta addirittura… una seduta!
Conclusioni
Ho sintetizzato per ovvie ragioni, ma credo di aver dato una descrizione piuttosto fedele di come funziona la Terapia Breve Strategica così come io la pratico.
Ovviamente ogni terapeuta è a sé e altri colleghi con la mia stessa specializzazione potrebbero avere modi differenti di condurla. Io ho studiato anche l’ipnosi, ho approfondito diversi approcci di terapia breve, e ho viaggiato anche all’estero per formarmi con altri terapeuti.
Questo per dire che non pretendo di essere stato esaustivo, ma solo di aver dato un’idea veloce sul mio personale modo di fare psicoterapia.
Se poi hai qualche altra domanda mi farà piacere poter rispondere: è del tutto normale che in un articolo non abbia potuto approfondire tutto. Quindi, se vuoi saperne di più, scrivimi: mi farà molto piacere.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica
e Ipnosi