“Possiamo conoscere la verità?“
Questa frase apre i primi minuti di Oxford Murders, thriller del 2008 girato dallo spagnolo Álex de la Iglesia e basato sul romanzo La serie di Oxford del matematico e scrittore argentino Guillermo Martínez.
Possiamo conoscere la verità?
È una domanda interessante e i filosofi dell’ultimo secolo ci hanno riflettuto parecchio. Quelli prima di loro, invece, si ponevano soprattutto un’altra domanda: “Qual è la verità?”, dando spesso per scontato che questa potesse essere conosciuta.
Ok, chiariamo una cosa: puoi stare tranquillo! Evito di fare filosofia, ma c’è un concetto che potrebbe interessarti. La filosofia sembra spesso anni luce lontana dai problemi quotidiani, ma questa domanda (“Possiamo conoscere la verità?”) ha dei un risvolto immediatamente applicativi sulla nostra vita.
Andiamo con ordine e, prima di tutto, diamo subito la risposta!
Secondo una serie di studiosi, molti dei quali riconducibili alla posizione filosofica del “costruttivismo radicale“, la risposta è che… “No, non possiamo conoscere la verità delle cose“. Il perché è complesso, ma riduciamolo a una spiegazione semplice: dato che ogni osservazione è soggettiva conosceremo un mondo soggettivo, non oggettivo.
In altre parole, tutto ciò che è osservato e pensato lo è dal tuo punto di vista. Questo vuol dire che la descrizione che dai del mondo è personale, mediata dai tuoi processi psicologici e fisiologici (perché, come diversi biologi hanno mostrato, anche la percezione del mondo è un processo mediato dal substrato fisiologico del soggetto).
«Ok, è un casino, l’ho capito. Però mi fido di quello che hai detto. Ora… quali sono i risvolti pratici di cui parlavi?»*
Ce ne sono molti, ma ce n’è uno particolare: l’autoinganno.
Il concetto è molto affascinante e se vuoi approfondirlo in maniera leggera, ma intrigante, ti consiglio il libro di Giorgio Nardone L’arte di mentire a se stessi e agli altri.
Qui proverò a dare una semplificazione ulteriore del concetto.
L’autoinganno è stato definito in molti modi, come ad esempio un insieme di processi percettivi, emotivi e cognitivi che ci porta a credere più a una determinata verità che a un’altra.
«Cioè?»
Cioè siamo più portati a credere che le cose stiano in un modo piuttosto che in un altro, e questo in base alle nostre esperienze, alle nostre modalità percettive, alle nostre reazioni emotive di fronte agli eventi, ai nostri modi di riflettere e ragionare su ciò che capita.
Esempio semplice: c’è chi di fronte all’ennesimo fallimento si abbatte sconsolato, chiedendosi perché sia tanto incapace da non riuscire mai e gettando infine la spugna; e chi, nonostante tutto, sorride e si dice: “Ok, ho imparato un nuovo modo per non raggiungere il risultato che volevo: avanti col prossimo tentativo!”.
«Un pessimista e un ottimista…»
È un po’ più complesso di così.
Immagina una persona convinta di una certa “realtà”, ad esempio di essere la migliore nel suo lavoro. Non importa che sia vero o meno: in ogni caso questa credenza potrebbe produrre una serie di effetti positivi, ad esempio facendola impegnare sempre al meglio, a non accettare la sconfitta, portandola a trovare soluzioni nuove e creative di fronte ai problemi. Magari c’è un collega che ha studiato di più e ne sa notevolmente di più in materia, però non riesce a raggiungere la sua stessa posizione.
Perché? Perché la persona del nostro esempio ci crede al fatto di essere migliore, mentre il collega no. In termini più tecnici, la prima persona si comporta (spontaneamente) secondo l’autoinganno “Io sono il migliore”, mentre la seconda persona – pur avendo una preparazione più adeguata – si comporta (spontaneamente) come se “Io non sono un granché”.
«Ma se uno ne sa oggettivamente di più non dovrebbe raggiungere risultati migliori?»
Ecco, questo è un autoinganno! Quante persone conosci che hanno raggiunto una posizione pur meritandosela meno di altri? E non parlo dei raccomandati, ma di persone che mostrano di avere quel “qualcosa in più” che agli altri sembra mancare.
Sapere le cose non basta: bisogna anche saperle usare.
Spesso il mio lavoro comporta il far prendere una consapevolezza diversa rispetto a ciò che si è, o meglio, a ciò che si può essere, perché se sei un leone ma ti vedi come un gattino, non ti sentirai mai all’altezza. A volte si può sforare in veri e propri disturbi, mentre altre volte c’è chi viene perché vuole seguire un percorso di coaching strategico: migliorare lì dove sente di volerlo fare.
Si può essere “incapaci” perché non si hanno le capacità (e allora bisogna acquisirle), o si può essere “incapaci” perché non si è in grado di usarle. In questo caso potremmo parlare di blocchi emotivi, di credenze errate, di comportamenti e atteggiamenti sbagliati, o di… autoinganni disfunzionali.
L’autoinganno ci porta ad avvicinare la realtà – e quindi a modificare il nostro modo di interagire con essa – a quello che è il nostro modo di percepirla. Percepirla negativamente vuol dire subire conseguenze negative poiché, come dice Alessandro Salvini, “Ognuno costruisce la realtà che poi subisce“.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondimenti:
Martínez, G. (2008). La serie di Oxford. Milano: Mondadori.
Milanese, R., Mordazzi, P. (2007). Coaching strategico. Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Balbi, E. (2008). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Milano: Ponte alle Grazie.
Nota: questa domenica 13 ottobre, dalle 16:30 alle 18:00, terrò il laboratorio di comunicazione: “So cosa dici. Ricreare il benessere con le parole“, assieme alla Dott.ssa Flavia Cheli, insegnante di danza diplomata riconosciuta presso l’Accademia Nazionale di Danza. L’evento è gratuito e aperto a tutti, e si terrà all’interno del MICRO – Rassegna di arti visive contemporanee, presso il Palazzo Orsini di Monterotondo (RM). Vieni anche tu, può essere un’occasione per conoscerci!
*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.