La credenza della minoranza

John Ogbu, non ci stava.
I neri considerati meno intelligenti dei bianchi? Assurdo. Per quale ragione, poi?!

Stereotipi e pregiudizi
Le credenze sono come rotte verso una meta prestabilita.

Eppure molte osservazioni parevano dare ragione a questa realtà. Era davvero così?
John Ogbu, come detto, non ci stava. Così, condusse una serie di studi che lo portarono a una teoria forte: siamo vittime delle nostre credenze.

Spiegò che una minoranza, per il semplice fatto di essere circondata da una società che la crede “mancante” o “deficiente” in qualche capacità/abilità (intelligenza, creatività, praticità, fisicità… qualunque vuoi), finisce per convincersi di esserlo davvero.

Quante volte ti è capitato?
Ti hanno detto, magari implicitamente, che sei lento, brutto, stupido, disorganizzato, debole, incapace… te l’hanno ripetuto talmente tante volte che hai finito per crederci anche tu.

Conosci il dilemma del paranoico?

Il paranoico è convinto che tutti ce l’hanno con lui. Così, quando entra in una sala d’attesa, guarda con sospetto tutti i presenti. Questi ultimi vedranno uno sconosciuto che entra e li guarda torvi: a loro volta, ricambieranno con occhiate di disappunto. Ed ecco fatto, il paranoico coglierà quelle occhiate e penserà: “Avevo ragione: ce l’hanno davvero con me!”.

Una credenza forte, finisce per diventare una realtà. Questo doveva avere in mente John Ogbu, quando difese le capacità delle minoranze.
«Quindi la minoranza non esiste?».
Vuoi sapere una cosa? Io non sopporto l’uso che si fa del termine “minoranza”.
«Perché?!».
Perché ci scordiamo per che cosa lo stiamo usando.
«Spiegati meglio».
“Minoranza” vuol dire sostanzialmente “minor numero”. Rispetto all’uomo, parlare di “minoranza” vuol dire parlare di alcune persone che sono “di meno”.
«Ma “di meno” rispetto a cosa?».
Naturalmente rispetto a una caratteristica scelta arbitrariamente.
Per esempio, sappiamo tutti che si stima che le donne siano più degli uomini nel mondo. Ecco, da un punto di vista di “numerosità del genere (maschile/femminile)” noi uomini siamo una minoranza.

In questo senso “minoranza”, usato propriamente, non vuol dire “essere incapaci, deficienti, ecc.”: il termine indica semplicemente il valore di presenza numerica.

Facciamo un altro esempio.
Sappiamo anche che, purtroppo, le donne manager sono meno degli uomini (benché, per fortuna, il divario si stia riducendo): ecco, dal punto di vista di “numerosità del ruolo lavorativo (manager)” le donne sono una minoranza.

Anche in questo senso il termine indica semplicemente la presenza numerica. In questo caso, però, si associa anche un’altra realtà: l’ingiustificata disparità nell’assumere manager donne. Ma non è il fatto di essere una “minoranza” il problema, il problema è il fatto di non fare sufficienti assunzioni.

Bada bene, c’è anche un’altra questione importante.
«Quale?».
Io ho appena fatto due esempi “assoluti”, cioè che riguardano tutti gli uomini e le donne del mondo. Ma potremmo anche prendere delle caratteristiche che valgono in un contesto e non valgono in un altro.

«Ad esempio?».
Parliamo di studenti universitari. Se andiamo nelle Facoltà di Matematica ci accorgeremo che, dal punto di vista numerico, le ragazze sono una “minoranza” rispetto ai ragazzi. Ma se andiamo nelle Facoltà di Psicologia questa realtà è del tutto opposta: ci sono su per giù 2 ragazzi ogni 8 ragazze (forse anche ogni 10); questa volta sono i ragazzi ad essere una “minoranza”.

Ora, riprendendo quanto detto sopra, questo può naturalmente avere degli importanti impatti sociali. Se il mondo viene costruito da chi è in “maggioranza”, si rischia di dimenticarsi di chi è in “minoranza”, e questo è assurdo, dato che non dovrebbero esistere esseri umani di serie A ed esseri umani di serie B, o C, o… Quindi si cerca di difendere i diritti di tutti, cioè di dare a tutti la possibilità di accedere alle risorse.
Il problema, però, si ha quando “minoranza” diventa una parola assolutistica intrisa di altro. Quando, tornando ad Ogbu, ci convinciamo di una credenza che in realtà non esiste.

psicoterapeuta monterotondo
La credenza può non essere suffragata dai fatti

Ultimamente sto tenendo un corso di Difesa Rosa.
È un fatto che le donne, purtroppo, siano di frequente soggette a un certo tipo di violenze fisiche (in questo senso, se ci pensi, sono gli uomini ad essere una “minoranza”: ma in questo caso la parola “minoranza” è ovviamente priva degli attributi negativi che normalmente gli vengono attribuiti).

Tornando al corso, quello che cerchiamo di far passare, oltre a elementi di difesa personale e a concetti pratici di psicologia della violenza, è che percepirsi come “minoranza” è la prima credenza da scardinare: non nel senso proprio del termine di “bassa numerosità”, perché può essere vero e si può essere in minoranza per una data caratteristica e questo può anche comportare difficoltà; ma nel senso di “gruppo incapace e senza risorse in molti (se non in tutti) gli ambiti”. Peraltro è proprio quel tipo di credenza che l’aggressore vuole instillare nella sua vittima con i propri atti violenti: “Tu sei incapace, sei da sola, non sei in grado”.

John Ogbu, di fronte a queste realtà, non ci stava.
È come se avesse detto: “I neri che vivono in Occidente non sono meno intelligenti dei bianchi: glielo stiamo facendo credere per il semplice fatto che sono meno di noi, e loro stessi stanno finendo per crederci”. Il rischio era che la comunità allargata (cioè sempre più persone) finisse per crederci, rinvigorendo con i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti tale credenza e costruendo una prigione mentale sempre più vasta dalla quale sarebbe stato sempre più difficile uscire.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia

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