8 Differenze Tra La Terapia Breve E La Terapia Cognitivo-Comportamentale (1) Vediamo le differenze tra la Terapia Breve e la Terapia Cognitivo-Comportamentale.
Quali sono le differenze tra la Terapia Breve e la Terapia Cognitivo-Comportamentale?
Dopo aver scritto due articoli sulle differenze tra Terapie Brevi e Psicoanalisi (10 Differenze Tra La Terapia Breve E La Psicoanalisi (2) e 10 Differenze Tra La Terapia Breve E La Psicoanalisi (2)), alcuni mi hanno chiesto di descrivere le differenze tra le prime la Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC).
Non è un lavoro facilissimo.
Da un lato perché, come dissi per l’articolo sulla psicoanalisi, io non sono un terapeuta cognitivo-comportamentale, quindi premetto che le mie competenze sono, ovviamente, nelle Terapie Brevi.
Dall’altro anche perché, in effetti, è molto più facile delineare le differenze di queste ultime con la psicoanalisi e gli approcci psicodinamici, molto più nette e marcate.
E da un altro lato ancora, perché non esiste la Terapia Breve così come non esiste la Terapia Cognitivo-Comportamentale: questi ultimi sono due contenitori molto grandi che racchiudono al loro interno approcci che seguono sicuramente delle linee comuni, ma hanno anche differenze a volte sostanziali.
Comunque sia, con tutti i limiti che potrà avere un articolo simile… accetto la sfida!
In questo articolo, di cui oggi puoi leggere la prima parte e giovedì prossimo la seconda, ecco a mio modesto parere 8 differenze tra le Terapie Brevi (in particolare quelle di matrice sistemica e strategica) e le Terapie Cognitivo-Comportamentali.

1. Durata “breve” e durata “media”
Quanto dura la Terapia Cognitivo-Comportamentale?
Di certo non come la Psicoanalisi o le Terapie Psicodinamiche, per le quali non è infrequente superare la soglia delle cento sedute.
Non è, quindi, una terapia a lungo termine, nella maggior parte dei casi. Qualcuno, per quel che riguarda la durata, la fa rientrare tra le terapie brevi, ma in realtà non mi sembra che ci sia un accordo preciso su questo punto.
Il fatto è che anche tra le Terapie Brevi non c’è un accordo univoco su “quanto deve durare per essere definita ‘breve'”. Generalmente, però, si è concordi nel dire che non vanno (quasi) mai oltre le 20 sedute, e che generalmente si sta sotto le 10 (ad esempio, nel mio caso mediamente le terapie durano 4-6 sedute).
Recentemente, su un articolo americano, ho letto che la TCC viene definita una “terapia a medio termine”: più breve della Psicoanalisi, ma più lunga delle Terapie Brevi.
Vogliamo essere più precisi?
Mediamente una Terapia Cognitivo-Comportamentale dura tra le 8 e le 20 sedute, ma non è raro farne anche più di 50.
Una Terapia Breve, invece, dura mediamente tra le 3 le 10 sedute, e raramente va oltre le 20.
Naturalmente ogni psicoterapeuta, essendosi prima di tutto formato in Psicologia per 5 anni all’Università, sa che qui stiamo parlando di “medie”: possono esserci situazioni in cui possono essere necessarie più sedute.

2. Cadenza
Con cadenza si intende “ogni quanto si va dallo psicoterapeuta”.
Anche qui, non è facilissimo distinguere tra i due orientamenti, perché in realtà la cadenza viene determinata da molti fattori:
- le preferenze del cliente
- quelle del terapeuta
- la gravità del problema
- la particolarità della situazione
- la fase della terapia
e altro ancora.
Nella mia esperienza, ho notato che nella Terapia Cognitivo-Comportamentale è più facile dare, almeno all’inizio, un appuntamento ogni settimana nella maggior parte dei casi. Invece, nelle Terapie Brevi, si tende fin da subito a vedere la maggior parte delle persone ogni quindici giorni, nell’ottica di favorire velocemente la loro autonomia.
Attenzione: ci saranno ovviamente TCC che già all’inizio vedono la persona ogni due settimane, e TB in cui si preferisce un iniziale contatto più ravvicinato. Uno psicologo, a prescindere dall’orientamento di terapia che decida di scegliere, sa che può adattare il proprio lavoro alla persona che ha di fronte.
Io, ad esempio, normalmente vedo la persona ogni quindici giorni, ma prima di tutto cerco sempre di regolarmi con chi ho di fronte, piuttosto che incastrarla in rigide formalità: se la persona mi chiede appuntamenti più vicini, o più distanziati, fin dall’inizio, mi accordo alle sue preferenze – ovviamente salvo casi eccezionali.

3. Conoscere per cambiare vs Cambiare per conoscere
Alla base della Terapia Cognitivo-Comportamentale c’è l’idea che, per poter cambiare, bisogna modificare una serie di credenze errate e pensieri disfunzionali. Si procede, quindi, dal modificare le “conoscenze” per produrre un cambiamento.
Questo, in soldoni, è l’aspetto più “cognitivo” della terapia, supportato dall’aspetto “comportamentale”: quest’ultimo si riferisce all’assegnare determinati compiti alla persona, i quali, come degli esercizi di apprendimento, la aiuteranno a modificare dei comportamenti disfunzionali.
Nelle Terapie Brevi, invece, spesso il processo è inverso. Si ritiene che bisogna prima cambiare, per poter conoscere. Significa che prima devi cambiare il comportamento e l’atteggiamento, e solo questo cambiamento ti permetterà di vedere le cose sotto una nuova luce.
Anche qui si assegnano spesso dei compiti, ma l’idea è che servano primariamente per aiutare la persona a vedere e sentire le cose in modo diverso (vedi ad esempio il mio articolo sull’Causa E Soluzione Dei Problemi Psicologici: L’esperienza Emozionale Correttiva).
Così, anziché andare a smontare i pensieri errati e le credenze irrazionali, il terapeuta breve aiuta la persona, più o meno indirettamente, ad agire in modo diverso nelle aree della propria vita in cui c’è il problema. Questo cambiamento produrrà innanzitutto un risultato positivo (scomparsa del problema, sintomo ecc.) e, di fronte a questa nuova configurazione, la persona comprenderà (spontaneamente, ma anche con l’aiuto del terapeuta) cosa sta funzionando ora e cosa non funzionava prima.
Sembra un approccio illogico, ma in realtà rispecchia gran parte dei comportamenti di tutti i giorni. E secondo molti studiosi è una delle ragioni che rende queste terapie… brevi!
Ad esempio, tu non sai come funziona una bicicletta, quando ci sali per la prima volta. Nessuno ti fa una lezione teorica con tabelle e diagrammi su come funziona la bicicletta: potrebbero farlo, ma chissà quante lezioni ci vorrebbero prima che tu apprenda come si va sulla bici.
Invece, quello che fanno è suggerirti come salirci, spiegarti come impugnare il manubrio e come pedalare, e farti fare un primo tratto. Il tutto, ovviamente, nello spazio protetto della terapia: avrai cioè delle “rotelle” di sicurezza per evitare di cadere.
Apprenderai ad andare in bici… andandoci!

4. L’attenzione alla comunicazione
Devo ammettere che conosco poco l’attenzione che la Terapia Cognitivo-Comportamentale pone alla comunicazione posta dal terapeuta. Ovviamente, trattandosi di talking cure (“cura con le parole”, un altro modo di definire la psicoterapia), l’attenzione alle parole e a linguaggio usato è piuttosto alta (d’altronde già negli anni universitari si fanno diversi studi sulla psicologia della comunicazione e sul colloquio clinico).
Ma nelle Terapie Brevi è decisamente un nodo centrale.
In altre parole, le Terapie Brevi sono molto attente non solo a cosa si dice, ma anche a come lo si dice. Dalla scelta delle parole all’uso di strutture comunicative anche molto complesse, come:
- il “linguaggio evocativo” (metafore, aforismi, storie ecc.), utilizzato per far “sentire”, oltre che per spiegare, e per veicolare messaggi in forma indiretta e più accessibile per la persona;
- l’uso del linguaggio analogico (ad es., la comunicazione non verbale) e digitale (cioè le parole)
- le forme conversazionali e terapeutiche dei paradossi
- le forme di ipnosi senza trance (comunicazioni date con toni e cadenze particolare, che aiutano a raggiungere uno stato di assorbimento e focalizzazione utile a fini terapeutici)
e poi ancora: l’attenzione alle singole parole da utilizzare per produrre effetti positivi e terapeutici (cioè lo studio della pragmatica della comunicazione), la consapevolezza che descrivere è già fare, così come del fatto che ogni comportamento è una comunicazione verso sé e verso gli altri…
Queste e altre caratteristiche della comunicazione sono insiste nella comunicazione stessa: si può usarle con consapevolezza (per fini terapeutici), o usarle senza sapere di farlo (e lasciare che agiscano senza la nostra consapevolezza). Le Terapie Brevi, da sempre, hanno largamente studiato questo aspetto e le sue implicazioni terapeutiche.
Mi rendo conto che a un non addetto ai lavori possono sembrare strane (“Cos’è un ‘paradosso conversazionale’?”). In realtà sono solo i nomi ad essere “strani”, perché si tratta di modi di comunicare del tutto comuni e quotidiani, che utilizzi anche tu. Semplicemente, il terapeuta breve li ha studiati attentamente e ha studiato come aiutarti a bloccarli quando sono disfunzionali, e come utilizzarli per facilitare la risoluzione del tuo problema.
Se vuoi approfondire questo argomento con libri divulgativi, potresti provare a leggere Istruzioni per rendersi infelici o Di bene in peggio, di Paul Watzlawick. Se ne vuoi uno un po’ più tecnico, per addetti ai lavori (ma comunque interessante per tutti), prova Il linguaggio del cambiamento, sempre dello stesso Watzlawick.
Fine prima parte
Queste le prime quattro differenze.
Giovedì prossimo parlerò delle altre quattro e cioè:
- differenze nel concepire cosa è “normale” e cosa non lo è
- differenze nel modo di fare diagnosi
- considerare chi è il vero esperto in terapia (se il terapeuta o il paziente)
- differenze nel porre accento sui problemi o sulle soluzioni
Se vuoi approfondire questo argomento fai un salto sulla mia Pagina Facebook e scrivi cosa ne pensi.
Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia Seduta Singola
Ipnosi
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