Perché continui a fare cose che ti fanno male? Il vantaggio secondario

Perché Continui A Fare Cose Che Ti Fanno Male? Il Vantaggio Secondario Il ruolo del vantaggio secondario

Perché continuiamo a persistere nel fare qualcosa che ci fa male?
Perché, nonostante il dolore, la rabbia, la paura, continuiamo a rimanere in situazioni difficili, sgradevoli, dolorose?

A volte la risposta sembra lontana, impossibile da trovare, persa nella nebbia come un’ombra sfocata che non si lascia definire.

Altre volte, invece, ti sembra quasi a portata di mano, tanto vicina da poter essere sfiorata, al punto che percepisci nettamente la possibilità del cambiamento, la direzione verso cui muovere i passi giusti per uscire dalla trappola. Eppure rimani lì, come incastrato…

Perché? 
Cercherò di spiegarlo in questo articolo, ma attenzione: a molti non piacerà sentirsi dire quello che c’è scritto.

Ci sono molte risposte a questa domanda e diverse le abbiamo esplorate proprio in queste pagine. Oggi ne voglio vedere una paradossale: il vantaggio secondario.

Il piacere dello star male

Immagina di svegliarti un giorno con la febbre alta. Hai del lavoro da fare, delle commissioni da sbrigare, l’ultimo libro del tuo autore preferito da comprare, e la sera ti devi vedere con gli amici. Tutto da rimandare.
La rabbia sale e magari anche un certo senso di impotenza. Poi, però, accade una cosa insolita. Le persone a te più care iniziano a ricoprirti di attenzioni, a starti vicino, a darti una mano. Magari qualcuno ti aiuta con il lavoro, le commissioni le svolgono al posto tuo, ti portano il libro in casa e gli amici vengono direttamente da te.
Insomma, il lato bello della febbre è che, in teoria, qualcuno potrebbe dedicarti più attenzioni. Questo è un vantaggio secondario dello stare male.

Il vantaggio secondario nei disturbi psicologici

Nelle problematiche psicologiche questa realtà si riscontra di frequente, in diversi ambiti e in diverse forme.

psicoterapeuta roma
L’anoressia mentale (Mara Selvini Palazzoli)

Mara Selvini Palazzoli, ad esempio, col suo gruppo scoprì una forma particolare di anoressia che insorge in figlie di famiglie altamente problematiche. È detta anche “anoressia sacrificante”, poiché si è visto come il disturbo anoressico si sviluppi, in questi casi, come tentativo di mantenere unita la famiglia, che trascura i propri problemi per concentrarsi su un problema più grande, la figlia anoressica, che appunto si “sacrifica” per il bene familiare (per saperne di più si può leggere L’anoressia mentale, scritto proprio dalla Selvini Palazzoli).

«Sembra assurdo..

Non più assurdo di tutti quei bambini che, di fronte alle liti continue dei genitori, manifestano d’improvviso una sintomatologia fisica inspiegabile: mal di testa continui, violenti mal di pancia, fino a tornare a fare la pipì a letto o ad adottare comportamenti vandalici.

Comunemente si dice che sono tentativi di attirare l’attenzione e spesso è proprio questo il leitmotiv di tali problematiche. Il vantaggio secondario ottenuto è quello di far cessare i litigi dei genitori, i quali devono ora preoccuparsi del problema del figlio.

Ma i vantaggi secondari si possono ottenere in tante altre situazioni che non coinvolgono necessariamente gli altri. Ad esempio, un disturbo può diventare l’ostacolo che non ci permette di affrontare una situazione complicata – come decidere di lasciare il proprio partner – o persino potrebbe impedirci di raggiungere risultati decisamente vantaggiosi, come una promozione sul lavoro, perché magari ottenerli vorrebbe dire prendersi più responsabilità, o testarsi in un campo che non conosciamo.

Rinunciare ai vantaggi secondari?

«Insomma, facciamo in modo di stare male perché questo ci permette di far cessare o di evitare qualcosa di doloroso o di angosciante.»*
In termini generali sì, però attenzione: chi soffre di un disturbo spesso non è consapevole dei vantaggi secondari che questo comporta. Inoltre, se anche ne fosse messo al corrente è altamente improbabile che ciò cambi la situazione; anzi, il rischio è che la persona rifiuti aspramente la nostra spiegazione e non ne tragga alcun giovamento.

D’altronde, se anche ci fosse un vantaggio secondario a sorreggere il disturbo (e non è detto che ci sia, poiché è possibile che esistano dei vantaggi secondari ma che non influiscano un granché sul mantenimento del problema), questo va visto come un’estrema richiesta di aiuto, una comunicazione spontanea (quindi non controllabile) di malessere.

«Immagino che in questi casi il vantaggio secondario sia più qualcosa che deve tenere a mente lo psicologo nel suo lavoro. Ma allora nella vita di tutti i giorni noi cosa possiamo fare?»
Chiederci, di fronte a quelle difficoltà che si ripresentano nella nostra vita come un appuntamento fisso, se possa esserci un vantaggio secondario che ci impedisce di superarle. La nostra non dovrà essere una ricerca ossessiva, non dovremo perderci nel tentativo di trovare ad ogni costo un vantaggio, ma potremo porci una domanda in più che, magari, potrebbe esserci utile a sbloccare una situazione difficile.

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Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia

Riferimenti bibliografici
Nardone, G., Verbitz, T., Milanese, R.
(1999). Le prigioni del cibo. Milano: Ponte alle Grazie.
Selvini Palazzoli, M. (2005). L’anoressia mentale. Milano: Raffaello Cortina.

Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma,: Astrolabio, 1971.

*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.