Come si può migliorare la propria autostima?
Libri come I 6 pilastri dell’autostima, e tutta una serie di articoli, danno un bel po’ di risposte, a volte campate in aria, altre volte più autorevoli.
Oggi non voglio unirmi alla schiera e aggiungere un’ulteriore risposta alla lista, ma sottolineare invece in poche righe un altro aspetto: un errore che si fa comunemente quando si parla di autostima.
Prima una precisazione.
Parlare di autostima è tutt’altro che semplice, perché tutt’altro che semplice è il concetto di autostima. Ad esso si legano una serie di riflessioni, di altri concetti, e di riflessioni su tali concetti che volerlo trattare in pochi passi è arduo.
Limitiamoci quindi a indicare quello che è un errore comune spesso commesso, talmente dilagante da riflettersi persino nella parola stessa: auto-stima, cioè la capacità di dare una stima di se stessi.
Parafrasando Matteo Rampin nel libro Nel mezzo del casin di nostra vita, è come chiedere al macellaio se la carne che vende è buona. Infatti, dare una stima di se stessi è tutt’altro che facile: per dare una stima di me dovrei oggettivamente valutare il mio valore, ma come certi polizieschi ci hanno insegnato, se si è emotivamente coinvolti con la persona con cui bisogna lavorare, il rischio di dare giudizi distorti – e compiere azioni inadeguate – è alto. E con noi stessi, ovviamente, c’è un bel grado di coinvolgimento emotivo!
«Quindi stai dicendo che il rischio è quello per il quale ciò che influenza la nostra auto-stima è l’autostima stessa: se è bassa, daremo valutazioni di noi tendenzialmente basse, se è alta faremo il contrario».
È un po’ più complesso di così, ma ci possiamo accontentare di questa spiegazione.
«E l’errore di cui parli è questa distorsione?»*
No, l’errore di cui parlo è direttamente collegato ad essa.
Dato che valutarci nel modo più oggettivo possibile utilizzando i nostri occhi è davvero arduo, un ulteriore metodo di valutazione che usiamo sono gli occhi degli altri. In altre parole, guardiamo come gli altri ci guardano e da lì traiamo le conclusioni sul nostro valore.
Ma è proprio qui che commettiamo un errore insidioso.
Convinti che attraverso gli occhi degli altri potremo avere una valutazione oggettiva di noi, ci dimentichiamo che stiamo guardando i loro occhi attraverso i nostri occhi. Se prima l’errore era quello di pensare di poter dare un’oggettiva e distaccata stima di noi stessi (auto-stima), ora l’errore è quello di credere di poter dare un oggettivo e distaccato giudizio sulla stima che gli altri hanno di noi.
Purtroppo, le lenti distorcenti indossate sono sempre le stesse. E così, uno dei rischi più frequenti è quello di avere due pesi e due misure per le stime positive e per quelle negative.
Per esempio, c’è chi tenderà a sminuire i giudizi positivi dati dagli altri e a enfatizzare quelli negativi (“Sì è vero che Marco, Matteo e Mario hanno detto che me la sono cavata in quel compito, ma Giorgio ha chiaramente espresso il suo dubbio sulla mia performance”).
Ancora peggio, si potrebbero scovare elementi negativi all’interno dei giudizi positivi, siano quelli latenti o del tutto inesistenti (“Elisabetta ha detto che non sono andato per niente male l’altro giorno, ma di sicuro in parte lo dice solo perché mi vuole bene”).
All’estremo, il processo di distorsione potrebbe arrivare al punto di leggere i giudizi positivi in termini negativi (“Simone dice che me la sono cavata, ma come è possibile? Secondo me è un modo gentile per non dirmi che ho fatto schifo”).
Come possiamo fare per evitare questo errore?
La meta non è immediata. Lo so che le soluzioni immediate ci piacciono e che molti testi e molte teste le promettono, ma la verità è che se per costruire un senso di autostima stabile ci vuole un po’ (in realtà meno anni di quelli che si pensano), per ricostruirla non bastano due giorni. Non che servano due anni, ma il lavoro dev’essere appunto un lavoro, cioè deve richiedere impegno e costanza.
Il primo passo però lo possiamo indicare, ed è quello di farlo… indietro.
«Fare un passo indietro?»
Esattamente. Tutte le volte che ci sorprendiamo a esprimere un giudizio su come gli altri ci valutano, in particolare quando ci valutano bene, sospendiamolo, e comportiamoci “come se” quella valutazione fosse vera.
In altre parole, chiediamoci:
Come mi sentirei se effettivamente quel giudizio positivo appena ricevuto fosse vero? Come mi comporterei nell’immediato? E nel medio termine? E come mi comporterei da un anno a questa parte? Quali sarebbero i comportamenti che metterei in atto se quella valutazione corrispondesse al vero e che ora non metto in atto? Partendo da quella valutazione positiva, cos’altro potrebbero dire di me le altre persone? E quali effetti avrebbero su di me e su di loro i miei comportamenti, partendo dalla veridicità di quel giudizio positivo?
Questa domanda parte dal cosiddetto “scenario oltre il problema”, utilizzato nel problem solving strategico. Domande come queste servono per dare un primo calcio d’inizio a un nuovo modo di percepirsi e comportarsi, un modo per avere nuovi occhi e agire in nuovi modi, slegandoci da vecchie abitudini e da vacillanti e distorte auto-stime.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondire:
Branden, N. (2006). I sei pilastri dell’autostima. Milano: Tea.
Nardone, G. (2009). Problem solving strategico da tasca. Milano: Ponte alle Grazie.
Rampin, M. (2014). Nel mezzo del casin di nostra vita. Milano: Ponte alle Grazie.
*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.