Non si può non comunicare

psicologo monterotondo roma online“Ma vi assicuro che non volevo dire…” stava rispondendo Alice, ma la Regina Rossa l’interruppe:
È proprio questo che ti stavo rimproverando! Tu avresti voluto dire un’altra cosa! E a che cosa credi che serva una bambina, se non conosce il significato delle parole che dice? Anche una sciarada ha un significato… e io voglio credere che una bambina sia più importante di una sciarada. Non puoi negarlo, anche se tenti con ambedue le mani”.
“Io non nego le cose con le mani”, obiettò Alice.
“Nessuno dice che lo hai fatto”, disse la Regina Rossa. “Ho detto che non puoi farlo, anche se tenti”.

Con questo passo di “Alice nel paese delle meraviglie”, Lewis Carroll mostrò una notevole sagacia rispetto alle regole della comunicazione, tanto che il suo testo venne ripreso un secolo più tardi dai più importanti studiosi della pragmatica della comunicazione, disciplina che si occupa di studiare gli effetti della comunicazione sul comportamento.

In quel passaggio, la Regina Rossa accenna a quello che Paul Watzlawick e gli studiosi del Mental Research Institute di Palo Alto (padri della Terapia Breve) definirono come il primo assioma della comunicazione umana: “non si può non comunicare.

La povera Alice viene inoltre sottoposta a lungo a quel tipo di comunicazione illogica e senza sbocchi, finendo per svenire; questa reazione è una possibile espressione di una delle quattro risposte alla comunicazione altrui, studiate accuratamente da Watzlawick e colleghi.

Ma andiamo con ordine.

Il primo assioma della pragmatica della comunicazione umana

Non si può non comunicare” è un assioma talmente semplice quanto basilare e quotidiano, sotto gli occhi di tutti ma non per questo sempre identificato. Il punto di partenza è che ogni comportamento, di qualunque genere, veicola un messaggio, un’informazione, o più precisamente una comunicazione.

E dato che non è possibile assumere un non-comportamento, non è neanche possibile non comunicare. Watzlawick ci riporta l’esempio di due passeggeri d’aereo seduti accanto, dove A non ha nessuna voglia di parlare, mentre B vuole a tutti i costi intrattenere una conversazione. Di fronte a questa situazione, dalla quale A non può andarsene (a meno che, per non sentire più B, decida di scendere dall’aereo in volo – e questa, in realtà, sarebbe già una chiara comunicazione di come si sente), le possibili risposte comportamentali sono, appunto, quattro:

  1.  Il passeggero A potrebbe rifiutare la comunicazione, esplicitando di non voler conversare con B. Il rifiuto, però, implica comunque un’accettazione della relazione, poiché bisogna dire all’altro, in modo più o meno brusco, più o meno chiaro, che non si ha voglia di conversare. Inoltre Watzlawick ricorda che per le regole dell’educazione non tutti se la sentirebbero di esprimere tale rifiuto!

  2. Controvoglia, il passeggero A potrebbe allora accettare la comunicazione. L’accettazione, com’è evidente, implica anch’essa l’accettazione di una relazione. Inoltre, una volta che avrà iniziato a rispondere alle domande di B, A si renderà conto di quanto divenga sempre più difficile fermarsi, finendo magari per odiare se stesso e l’altra persona.

  3. La terza modalità di risposta è quella della squalificazione della comunicazione. “È una tecnica importante a cui A può ricorrere per difendersi: egli può comunicare in modo da invalidare le proprie comunicazioni o quelle dell’altro. Rientra in questa tecnica una vasta gamma di fenomeni della comunicazione: contraddirsi, cambiare argomento o sfiorarlo, dire frasi incoerenti o incomplete, ricorrere a uno stile oscuro o usare manierismi, fraintendere, dare una interpretazione letterale delle metafore e una interpretazione metaforica di osservazioni letterali, ecc.” (p. 66).Si tratta di una gamma di comunicazioni che invalidano la comunicazione stessa, propria o altrui, a cui le persone possono far ricorso nel momento in cui vogliono evitare l’impegno della comunicazione in una situazione in cui si sentano obbligate a comunicare.

    A prescindere che si tratti di una persona “sana” o “disturbata” (termini che, d’accordo con Watzlawick, ritengo aberranti), queste comunicazioni fanno contento l’interlocutore – quantomeno quello più superficiale – poiché dicono niente dicendo qualcosa.

    Riporto con divertente interesse la rilevazione che Watzlawick, laureatosi presso la veneziana Ca’ Foscari, fece di un nostro particolare modo di dire: “Mah!. Gli italiani, notò, possono usare questa esclamazione “per esprimere dubbio, consenso, dissenso, perplessità, noncuranza, biasimo, disprezzo, rabbia, rassegnazione, sarcasmo, diniego e forse un’altra decina di cose per cui alla fine si svuota di contenuto e non significa più nulla” (p. 66n): la quintessenza di una comunicazione svalutante, poiché dice niente dicendo qualcosa!

    Al di là di quest’esempio particolare, potremmo ritrovare la svalutazione in quelle situazioni in cui cambiamo d’improvviso argomento perché finiti su un ambito troppo scottante, o in cui utilizziamo tecnicismi complessi per non dare una risposta chiara (o perché la risposta chiara sarebbe che non sappiamo rispondere), o quando fraintendiamo di proposito qualcuno che affronti temi per noi sensibili, e così via.

  4. E la quarta modalità con cui il nostro passeggero potrebbe rispondere? La quarta modalità comunicativa è il sintomo, di cui parlerò Quando Il Sintomo Parla Per Noi.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola

Ipnosi

Riferimenti bibliografici
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Carroll, L. (1966). Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. Milano: Rizzoli.
Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio, 1971.

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