Perché non riusciamo a cambiare e continuiamo a fare cose che ci fanno soffrire?
È capitato a tutti:
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- trovarsi in una situazione senza uscita
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- vivere un disagio e sentire di non avere le chiavi per aprire la porta e andarsene
- continuare a commettere gli stessi errori da sempre, e trovarsi a dare la colpa solo a se stessi.
Sono esperienze comuni.
È questo che si intende per “problema”: situazioni e meccanismi di sofferenza da cui non riusciamo a uscire (vedi anche la pagina “Cosa faccio?“, nel menù in alto).
Ma perché?
Il cambiamento che non cambia
Nel loro storico libro Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Paul Watzlawick, John Weakland e Richard Fish descrissero la questione da un punto di vista tecnico, molto elaborato ma rigoroso, che semplifico in queste righe.
Prima di tutto, rendo più chiaro il concetto di “problema”.
Con “problema” si intende qualcosa che blocca e fa soffrire (o fa soffrire chi è vicino a noi), ma da cui non riesci a venir fuori. Battiamo, scalciamo, rimuginiamo e poi tentiamo ancora, ma alla fine fai sempre la stessa fine; spesso ti trovi sempre al punto di partenza.
Perché?
Perché in questo caso stai tentando un cambiamento1.
“Un che?!“.
Watzlawick e colleghi hanno dimostrato una cosa interessante.
Di fronte a un problema, tenti una soluzione.
“Giusto“.
Per certi problemi riesci a trovarla, ed è tutto ok.
Per altri problemi, però, continui a rimanere in un circolo vizioso.
Quello che fai non ti porta a niente. Fai delle cose, ma appaiono tutte sbagliate – o, nella migliore delle ipotesi, non ti conducono in nessun posto.
Ecco, questo è il cambiamento1 (o “cambiamento di primo ordine“): un tentativo di cambiare le cose che non cambia niente.
“Ma perché?“.
Perché per ribaltare quella situazione stai usando degli elementi che in realtà ne fanno parte.
Per questo non puoi cambiarla. Non stai veramente costruendo delle modifiche, stai solo modificando l’ordine delle cose: e si sa che cambiando gli ordini degli addendi…
Modificare l’ordine può dare dei risultati per difficoltà più lievi, ma è inutile per problemi più resistenti.
Per esempio, è come se in una partita a briscola hai una mano perdente e cerchi di vincere semplicemente rimescolando le carte che tieni in mano!
Per vincere devi cedere una carta e acquisirne una nuova.
Un altro esempio* è l’incubo.
Una persona che ha un incubo può fare molte cose nel suo sogno: correre, nascondersi, lottare, strillare, saltare un dirupo, ecc., ma nessun cambiamento da uno qualunque di tali comportamenti a un altro potrebbe mai far finire l’incubo.”
Branka Skorjanec (Il linguaggio della terapia breve, p. 93n)
Questo è il “cambiamento di primo ordine”.
Un ultimo esempio* è tratto dalla vita di coppia.
Se un marito geloso chiede aspramente alla moglie se lo tradisce o no, questa solitamente risponde in 2 modi:
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- con la spiegazione razionale (“Ma scusa, caro, quando sono al lavoro ti chiamo tutti i giorni, la sera dormo sempre in casa, quando non ci sentiamo ti scrivo gli sms, e in generale mi faccio sempre bella per te!“, e allora il marito si farà sospettoso, pensando che questo tentativo di convincerlo dimostra che c’è sotto qualcosa)
- con la reazione indignata (“Ma come puoi solo pensare una cosa simile?! Ti dimostro in ogni modo – in ogni modo! – quanto ci tengo a noi, e tu mi accusi di tradirti?!“, e allora il marito, seppure potrebbe convincersi lì per lì, poco dopo penserà che se lei fosse veramente senza colpa non dovrebbe reagire così violentemente)
Un circolo vizioso, appunto.
Come uscire da una situazione senza uscite?
Con il cambiamento2, o “cambiamento di secondo ordine”.
Se le tue carte non ti permettono di vincere, prendine di nuove.
Se l’incubo ti tormenta, svegliati.
E se il marito ti chiede se lo tradisci… digli di sì!
“Sei matto?! Quello mi ammazza!“.
Ok, soffermiamoci solo un attimo sull’esempio del marito geloso.
Prima di tutto distinguiamo situazioni di gelosia contenuta (anche se fastidiosa), da esagerate reazioni di violenza: in quel caso la gelosia (che in casi particolari potrebbe anche essere sfociata in paranoia) va affrontata in tutt’altro modo, solo con l’aiuto di uno specialista.
Ma in casi di gelosia meno violenta, ma comunque fonte di sofferenza e di (auto)limitazioni, la tecnica appena descritta è fatta applicare da molti professionisti con risultati notevoli.
Si chiede alla donna (o all’uomo!) di rispondere alle preoccupazioni del compagno con un sottile sorriso, dicendo con un po’ di ironia qualcosa tipo: “Certo che ti tradisco! Adesso infatti esco con i miei amichetti e… chissà che follie!”, dando poi un tenero bacio al compagno e uscendo in tranquillità.
Lo scopo è quello di suggerire analogicamente (col comportamento non verbale – sorriso – e paraverbale – tono di voce) l’assurdità dei sospetti del marito.
“E funziona sempre?“.
Funziona, ma non facciamo i terapeuti da quattro soldi.
“Cioè?“.
Nessun terapeuta serio può dire “funziona sempre”. Il principio funziona, calzandolo ovviamente sulla situazione specifica. Come dire: il modo migliore per muoversi in autostrada è l’automobile, poi naturalmente occorre vedere se per te è più adatta un’utilitaria, un’auto sportiva, un SUV, ecc.
“E in questo mi aiuta lo psicologo…“.
Se vedi che l’automobile che hai usato non ha dato le prestazioni migliori, lo psicologo è il trainer che ti insegna a guidarla meglio o… a cambiare auto.
Conclusioni
Il cambiamento2 è un cambiamento che non si limita a rimescolare le carte: ne prende di nuove.
Anziché utilizzare gli elementi interni, ne coglie di esterni per modificare la situazione.
Ecco perché spesso con uno specialista risolviamo più velocemente il problema: perché, esterno alla situazione, può vedere con più facilità quali sono gli elementi mancanti e indicarci come prenderli e come utilizzarli.
Ricordati che puoi usufruire della terapia online, che ha la stessa efficacia di quella dal vivo.
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Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondimenti:
Skorjanec, B. (2000). Il linguaggio della terapia breve. Milano: Ponte alle Grazie.
Watzlawick, P., Weakland, J., Fish, R. (1974). Change. Sulla formazione e soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio, 1975.
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.