“Chi ha un perché per vivere può sopportare tutti i come”, Friedrich Nietzsche.
Potresti interpretare questa frase in diversi modi. Prendiamone uno che suona più o meno così: se ti dai una spiegazione ti sentirai meglio. “Perché?” è la domanda inespressa dietro ogni avvenimento. Ci sono i “perché” inevasi che ci tormentano come anime urlanti, prigionieri di un passato che non li lascerà mai più andare; o i “perché” dai mille volti, dalle mille facce intercambiabili, tutte apparentemente vere e reali; o quei “perché” monolitici che come macigni si schiantano sulla nostra coscienza – quei “perché” che proprio non vogliamo accettare.
Leggo su Facebook, sul gruppo “Paura della paura”, il commento dubbioso di Simona: “Capita di ascoltare in TV qualche esperto che afferma di guardarsi dentro per capire cosa ci fa male, per individuare qual è stata l’origine o la causa della nostra paura”. Le rispondo che gli esperti a volte trascurano di dire che la psicologia, così come qualunque altra scienza, è un insieme di vorticose correnti composte da fiumi di teorie emerse dal mare delle idee di un oceano di persone. Insomma, che non tutte siano d’accordo tra loro ce lo dobbiamo proprio aspettare. Caos? In realtà direi più “crescita”, poiché è a partire da queste differenze che ci si evolve, così come da due esseri viventi diversi nasce una nuova vita.
“Quindi guardarsi dentro, cercare l’origine o la causa di un problema, non risolve i problemi?”. No, non per tutti gli psicologi almeno. Paul Watzlawick sosteneva che guardarsi dentro rende ciechi. “Permettetemi di fare un’osservazione per certi versi eretica” disse. “Né nella mia vita personale (a dispetto di tre anni e mezzo di analisi in formazione), né nella mia successiva attività di analista junghiano, né nelle vite dei miei pazienti mi sono mai imbattuto in questo magico effetto dell’insight”. Si riferiva all’ipotesi secondo cui conoscere le cause dei problemi, i “perché”, porta alla loro soluzione.
Sebbene non ami accostare l’uomo a una macchina, mi capita spesso di fare questo esempio. Immagina di stare guidando tranquillamente, finché d’un tratto non ti rendi conto di avere una ruota bucata che ti costringe ad accostare. Ora potrai guardare ben bene la ruota, studiarla attentamente, scoprire che è bucata per via di un chiodo e da lì riflettere su dove mai avrai preso quel chiodo. Pensandoci ti verranno in mente decine di possibilità e, per motivi che non diciamo (anche perché non siamo sicuri di saperli), capisci di averla bucata nella via Tal dei Tali, il giorno X, alle ore Y, per il motivo Z. Adesso vuoi finalmente metterti a cambiare la ruota?
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Riferimenti bibliografici
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Watzlawick, P. (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Milano: Ponte alle Grazie.
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