“Ho superato i sessanta, quarant’anni di contributi, una vita dedicata ai clienti, al negozio, al lavoro: cosa farò ora?
Ho smesso di rispondere a mia moglie e le proteste sono finite, ma il problema resta lì: tra due anni andrò in pensione. La pensione… un buco nero pieno di niente, un vuoto colmato di assenza. Cosa farò da quel momento?
Quando ci penso mi vedo vecchio, le mani in tasca, lo sguardo assente, triste, solo. Mia figlia dice che avrò più tempo libero per le mie passioni, ma io sento che nessuno capisce, anzi, non so se è il termine giusto – mi dica lei, dottore – ma mi sento depresso, per certi versi arrabbiato, anche se con chi potrei arrabbiarmi? Posso solo non pensarci, ma intanto la data si avvicina.
Poi accade l’impensabile.
Sono da mio figlio per aiutare lui e la compagna nelle ristrutturazioni di casa. Mentre vernicio il soffitto perdo l’equilibrio, cado dalla scala: frattura del piede destro, un amico medico dice che ne avrò per un mese.
È così che cominciano delle giornate nuove, diverse. Giro un po’ per casa con le stampelle, mia moglie mi impedisce di sforzarmi e passo il tempo a leggere. Ma non so stare troppo tempo con le mani in mano, così mi alzo, giro a caso per un po’ e infine decido di andare in balcone dove inizio a guardare le piante: erano mesi che volevo sfoltirle, cambiare la terra, piantare nuovi semi.
Da qui scopro il piacere di tante piccole cose, un piacere nuovo, genuino, che germoglia intorno a me. La sera cucino con mia moglie delle ricette trovate su internet: ogni volta scegliamo una nazionalità diversa. La bacheca dei liquori è finalmente ordinata e posso mostrarli e servirli agli amici che invitiamo ogni week-end a cena. Quando lascio le stampelle comincio a esplorare il quartiere, scopro un circolo di lettura e inizio, per gioco, a frequentarlo settimanalmente.
Così per un mese, poi riprende il lavoro. Ora che ho assaporato il gusto dei veri piaceri, però, mi riapproprio del tempo per tenerli all’interno della mia vita, per non farmeli mancare. Per la prima volta attendo la pensione con serenità”.
Il piacere è una delle sensazioni base che governano la vita. Lo associamo sempre a qualcosa di bello, di positivo, ma come accade per tutto può trasformarsi fino a diventare disfunzionale. Capiamo come, con la Terapia Breve.
Un unico grande piacere
Il piacere diventa totalizzante, ad esempio, quando veniamo dominati da un unico piacere totalizzante. È il caso di molte dipendenze (alcolismo, tossicomania, gioco d’azzardo), di alcune relazioni sentimentali, ma anche di situazioni meno estreme ma ugualmente dannose, come quella descritta nel racconto del Signor S.*
Il lavoro un piacere dominante? Certo, come qualunque altra attività può diventarlo, l’unico piacere in cui rifugiarsi a fronte di una vita dove ci si concede poco altro. Già Oscar Wilde diceva che “Qualsiasi cosa può diventare un piacere, se la si fa ripetutamente” e in tempi più recenti Laborit, premio Nobel per la biologia, l’ha confermato mostrando che qualunque comportamento, se ripetuto un certo numero di volte, può gradualmente connotarsi di intensa piacevolezza.
Certo, ciò viene considerato per comportamenti non troppo strutturati, ma l’esistenza dei cosiddetti workaholic (gli “ubriachi dal lavoro”) è uno degli esempi che mostra come si possa investire tutto in un unico, irrinunciabile piacere disfunzionale – a volte neanche percepito come tale, seppure la sua assenza ci mandi in crisi.
Le cause possono essere tante, magari corroborate da una quotidianità problematica a cui si vuole sfuggire, ma ciò che più ci interessa in questo caso è il fatto che in questi casi, al di fuori del lavoro (o della relazione, o di qualunque attività) non si hanno altri piaceri.
Ecco perché il Signor S. vedeva la pensione come una tomba. Finché un evento del tutto casuale ha prodotto una fortuna nella sfortuna: la possibilità di crearsi dei piaceri alternativi.
Costruire un sano piacere
Quello che lui ha scoperto con un evento sfortunato possiamo costruirlo volontariamente ogni giorno.
Viviamo in una società dove il bene più prezioso è il tempo, l’unica cosa che non si può comprare, ma cosa succede se lo esauriamo tutto senza averne più per noi e i nostri interessi, i nostri desideri, le nostre passioni? Cosa succede se non siamo più neanche in grado di riconoscerle, le nostre passioni?
L’abbiamo visto nello scorso articolo: stress, ansia, ma anche depressione e disturbi psicosomatici possono essere cause o conseguenze di una vita senza veri piaceri, ridotta all’essenziale o anche a meno.
Dovremmo mantenere sempre accese quelle dolci tentazioni, quei piccoli piaceri personali che sono contorno di un piatto altrimenti insipido, cornice di un quadro altrimenti insulso, significato di una vita altrimenti senza senso.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.