Un concetto che si è affacciato negli anni ’70 in psicoterapia, per poi entrare stabilmente nel trattamento di problemi di ogni genere (da semplici difficoltà a patologie invalidanti), è quello di Tentata Soluzione Disfunzionale.
Watzlawick e i colleghi di Palo Alto, presso il Brief Therapy Center, osservarono i modi in cui tentiamo di risolvere un problema o una difficoltà, scoprendo che spesso anziché cambiare quelle soluzioni che non funzionano insistiamo ad applicarle costantemente.
“Perché?“
Magari perché hanno avuto successo in passato, o perché hanno avuto successo in altre situazioni, o perché ne variamo la forma senza accorgerci che la sostanza è rimasta la stessa.
Il concetto di Tentata Soluzione Disfunzionale portò un cambiamento di metodologia importante e innovativo. Frutto di studi approfonditi dei sistemi cibernetici (cioè di tutti quei sistemi capaci di autoregolarsi e autorganizzarsi, come ovviamente sono gli esseri umani) e di costanti ricerche e applicazioni nel campo della psicoterapia, questo costrutto portò a una prima importante forma di intervento: analizzare e bloccare i tentativi di soluzione ridondanti che non funzionano. Proprio questi, infatti, possono mantenere se non addirittura complicare il problema.
E questo è vero a più livelli.
Pensiamo ad esempio alla storiella dell’ubriacone che, di notte, cerca le chiavi di casa sotto un lampione. Un signore si ferma, chiede qual è il problema e decide di aiutarlo. Dopo un’ora spesa inutilmente a cercare, il signore domanda spazientito:
“Ma è proprio sicuro di averle perse qui, le chiavi?“.
“Certo che no“, risponde l’ubriaco. “Le ho perse tre metri più avanti, ma lì è troppo buio per cercare“.
La storiella è divertente, ma spiega perfettamente il concetto di Tentata Soluzione: convinti di fare il giusto per risolvere un problema continuiamo perseveranti nel nostro tentativo di soluzione, che non porterà a nessun risultato se non al mantenimento della situazione problematica.
Ma anche in casi di vere e proprie problematiche psicologiche troviamo l’applicazione di questo concetto. Pensiamo, ad esempio, al depresso che rinuncia a fare qualunque cosa perché crede di non essere in grado: proprio questa rinuncia, tentativo di soluzione alla sua sofferenza, conferma la sua credenza e accresce la sofferenza stessa.
E anche gli altri possono mettere in atto Tentate Soluzioni Disfunzionali. Ad esempio, con le migliori intenzioni i parenti e gli amici della persona depressa possono dirgli che deve tirarsi su, che non ha nulla per cui essere così afflitto: questo cozzerà col senso di prostrazione del depresso che, sentendosi ancora più incapace, si deprimerà ancora di più.
Che dire poi degli attacchi di panico?
Chi ne soffre, spesso, chiede aiuto ad altri per fare delle cose, o addirittura delega a loro i propri compiti, anche i più semplici, come uscire per delle commissioni. L’aiuto ricevuto, da un lato, manderà un messaggio del tipo “Ti voglio bene, per questo ti aiuto“, ma dall’altro confermerà alla persona che non è capace, che da sola non ce la fa, che la sua situazione è insolvibile.
A volte le Tentate Soluzioni possono essere messe in atto anche per via di influenze sociali e culturali. Oggi è di moda pensare alla famiglia come a un parlamento democratico, dove tutti possono dire la loro con pari diritti. Questo fa sì che i figli vengano “portati in parlamento” con uguale potere decisionale dei genitori, che si sentono quasi in obbligo a dover negoziare ogni loro richiesta, finendo spesso per cedere e dimenticando che i figli non hanno ancora la maturità per prendere lo stesso tipo di decisioni che può prendere un genitore e che hanno bisogno di guide sicure e, spesso, apparentemente dure nelle proprie decisioni.
Nelle relazioni di coppia, poi, una classica Tentata Soluzione è quella messa in atto dal partner che vede il proprio compagno un po’ distante. Per timore di questa distanza cerca di tenerlo più vicino a sé, chiamandolo più spesso al telefono, mandando più sms, chiedendo di uscire più volte. Questo comportamento però potrebbe far sì che l’altro si senta oppresso fino al punto di aumentare la distanza, reazione che farà sì che il partner insista di più con i propri tentativi di vicinanza in un circolo vizioso senza fine.
Il concetto di Tentata Soluzione Disfunzionale è potente perché applicabile in qualunque contesto come lente di ingrandimento, capace di farci vedere cosa stiamo facendo e cosa non funziona. Il fatto che sia riscontrabile in contesti diversi (dalla clinica all’ambito aziendale, dai rapporti istituzionali a quelli di coppia) ne conferma la validità, poiché è ormai noto che ciò che viene chiamato “patologia” non è nient’altro che l’esacerbazione di uno stato altrimenti normale. Come a dire: non è patologica la cosa in sé, ma sono indici quali la frequenza, l’intensità, la durata ecc. a rendere una cosa patologica o meno.
Analizzare e agire sulle Tentate Soluzioni è il primo strumento a disposizione di chiunque per cambiare una situazione problematica, producendo un primo significativo cambiamento che possa aprire la porta d’accesso al cambiamento globale del sistema.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Riferimenti bibliografici
Watzlawick, P. (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Milano: Ponte alle Grazie.
Watzlawick, P., Weakland, J., Fish, R. (1974). Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.
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