Come sai che stasera starai a cena con la tua famiglia?
Come sai che la riunione di oggi si terrà?
Come sapevi che questa mattina, quando sei uscito, la tua macchina funzionava?
Il filosofo tedesco Hans Vaihinger scrisse un libro a proposito di quella che lui chiamò “la filosofia del ‘come se'”, in cui esemplificava un concetto semplice: anche se le certezze assolute, nella vita, sono poche o nessuna, agiamo tutti quanti come se avessimo una serie di sicurezze matematiche.
E questo è un concetto sia caro alla Terapia Breve, si utile per vivere una vita libera e soddisfacente.
Cinque minuti da pessimista…
Prendiamoci 10 secondi di negatività, e pensiamo che:
- non c’è niente che impedisca di pensare che un brutto male, un infarto ad esempio, ci colga quando meno ce l’aspettiamo
- nulla ci vieta di pensare che, senza preavviso, l’automobile si sfasci, o qualcuno ci venga addosso e ce la rubi
- non possiamo essere certi che, alla fine di questa frase, non sopraggiunga un terremoto che distrugga tutto ciò che abbiamo sempre conosciuto, la città – e la realtà – in cui abbiamo vissuto finora
Tutto ok?
Ci sei ancora?
Beh, almeno questo significa che non c’è stato alcun terremoto!
«Flavio sei impazzito?! Perché diamine dovrei pensare a quelle cose?»
Perché sono la base delle nostre infelicità.
O meglio, non quei pensieri, ma quel modo di pensare.
In effetti, se ci pensiamo, nella vita quasi niente è assodato. Hans Vaihinger ci spiegava che di fatto agiamo tutti i giorni come se molte cose andranno per il verso in cui riteniamo che debbano andare: niente infarti, niente guasti, niente terremoti.
Questo non significa che non ci saranno: se un terremoto arriva, arriva. Significa, però, che stiamo vivendo meglio. Stiamo vivendo pensando ai fiori, non alle erbacce.
…sono cinque minuti persi
Il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero disse: “Se si diventa pessimista per cinque minuti
Il cosiddetto “pensiero catastrofista” è quel modo di pensare per il quale si vive temendo le peggiori catastrofi o disgrazie, che possono capitare a se stessi, agli altri o nel mondo in generale. Non c’è nulla che ci dica che le cose possano andare in tal senso, eppure scegliamo di abbracciare quel pensiero.
Nel 2006, l’istruttore di paracadutismo Michael Holmes, di 25 anni, si lancia da 4.500 metri. Ma il suo paracadute non si apre.
Michael le prova tutte: cerca di tagliare la fune del paracadute, ma ruota troppo velocemente per riuscirci; allora pensa di aprire il paracadute di riserva, ma è troppo in alto; quando si trova a 200 metri dal suolo lo fa scattare… ma quello non si apre. Alla fine, non può che rassegnarsi. Pensa di mandare un messaggio a qualcuno che ama, ma si rende conto che non farebbe in tempo. Così guarda la videocamera e dice: “Ok, addio”.
Michael si salva.
Atterra su un cespuglio di more, un cespuglio alto meno di un metro e nemmeno troppo fitto. Ma si salva (qui la sua storia).
L’imprevedibilità
Pensiamo a 2 cose:
- Michael è un istruttore professionista: all’epoca aveva oltre settemila lanci alle spalle e per lui quella era una giornata come un’altra. Non poteva sapere se il paracadute si sarebbe aperto oppure no, e nemmeno se l’aereo avrebbe avuto un guasto improvviso, o se un imprevedibile fenomeno atmosferico straordinario (come un proverbiale fulmine a ciel sereno) non lo avesse colpito, o se non si fosse sentito male durante la caduta, perdendo conoscenza, o… o… o… Michael, semplicemente, quel giorno è andato a lanciarsi come se il paracadute si fosse aperto, l’aereo avesse volato come sempre, il tempo fosse stato clemente, il suo fisico avesse dato il meglio di sé…
- Verso la fine della caduta, resosi conto che non c’era altro che avrebbe potuto fare, Michael dichiara di aver semplicemente pensato: “Beh, hai fatto tutto il possibile, e morirai così”. Era totalmente rassegnato. Ha guardato la videocamera e ha detto: “Ok, addio” e, come racconta, si è completamente rilassato e non ha tentato in alcun modo di ripararsi dall’impatto o di atterrare volontariamente su quel cespuglio: stava semplicemente agendo come se la sua morte imminente fosse inevitabile. Eppure, è sopravvissuto.
Che la si guardi da un lato o dall’altro, la vita ha la sua buona dose di imprevedibilità. Eppure la maggior parte delle volte la viviamo bene e in modo più che soddisfacente: viviamo immersi in quell’imprevedibilità, ma non ce ne lasciamo toccare. Anzi, viviamo quasi sempre come se non esistesse.
La prevedibilità
E in realtà c’è sicuramente una cosa da considerare: la vita non è caos.
Prima dell’incidente, Michael Holmes si era lanciato 7000 volte, e 7000 volte (compresa quella in cui il paracadute non si è aperto) ha fatto tutta una serie di cose (controllare l’attrezzatura, assicurarsi delle condizioni meteo, affidarsi a un buon pilota ecc.) per ridurre a un numero prossimo allo zero la possibilità di problemi di qualunque sorta.
Così, per dare un’idea, diciamo che Michael ha fatto in modo che la percentuale di errore fosse su per giù dello 0,0001%.
La vita di tutti i giorni, sia per merito nostro, sia per il comportamento comune alla stragrande maggioranza delle persone, e sia, infine, per l’andamento regolare delle cose, è piuttosto prevedibile: 6999 volte su 7000 le cose vanno come devono andare. E se pensiamo che la maggior parte dei paracadutisti vive tutta la propria vita fino alla vecchiaia, o che la maggior parte delle persone non ha mai avuto un serio incidente automobilistico, o un grave problema fisico, o in generale disastri personali di ogni sorta, potremmo formulare un postulato: quasi sempre le cose vanno come devono andare.
Cosa stai guardando?
Qualche giorno fa ho sentito l’amico Luca Mazzucchelli raccontare un aneddoto:
Due uomini sono in un’automobile. D’improvviso quello che è alla guida perde il controllo del mezzo e l’auto va a schiantarsi contro un albero: entrambi si fratturano il braccio.
Il primo pensa: “Porca miseria! Mi sono rotto un braccio! E proprio il destro! Che sfiga, ma proprio a me doveva capitare?!”
Mentre il secondo pensa: “Porca miseria! Sono ancora vivo! Mi sono solo rotto un braccio! Questo è davvero un colpo di fortuna: è incredibile!”
Cosa stai guardando nella tua vita? A cosa stai decidendo di dare importanza? Alla probabilità (quasi sempre effimera) che qualcosa vada storto? A quello 0,0001% che forse non capiterà mai? All’ombra che si scorge nella grotta e che quasi sicuramente è solo l’ombra di un ramo secco?
Sveliamo allora che fu l’ipnoterapeuta Milton Erickson a dire che in un giardino puoi decidere se passare più tempo a guardare le erbacce, o a guardare i fiori.
Subiamo la realtà che costruiamo
A questo punto ti sarà chiaro che, nella vita di tutti i giorni, agisci per lo più come se le cose andassero bene. Il bello è che lo facciamo anche se siamo dei catastrofisti, perché è davvero impegnativo agire come se ogni singola cosa possa andare male! Generalmente, infatti, il catastrofista, il pessimista o la persona “negativa” limita il suo pensiero negativo a una fetta di condizioni intense, ma ridotte nel numero.
Il problema è, appunto, che in un qualche modo sono “intense” o, comunque, limitanti. Se non prendo la metro perché penso che potrebbe esserci un attentato, di sicuro ho molto circoscritto la mia negatività, ma ho comunque limitato la mia vita.
Questo significa che il tuo modo di pensare determina la vita che vivrai.
E se potessi determinare una vita più felice?
La pratica del “come se”
Se, agendo come se dovesse accadere qualcosa di negativo, finisci per vivere male, è vero anche il contrario: agendo come se dovessi aspettarti qualcosa di positivo… vivrai meglio.
Martin Seligman riportò che le persone ottimiste hanno più successo dei pessimisti. Il punto che ormai dovrebbe essere chiaro è che tu, già adesso, vivi la maggior parte della vita come se non dovesse capitare nulla di male, e cioè come se le cose andranno bene: stasera cenerai con la tua famiglia, oggi la riunione si è tenuta come da programma e domani la tua automobile ti porterà dove vuoi.
Scegliere di pensare che qualcosa di brutto, sgradevole o frustrante possa accadere… è appunto una scelta.
Allora questo significa che puoi anche scegliere di pensare che accada qualcosa di bello. Non necessariamente qualcosa di “straordinario”, ma anche semplicemente qualcosa di “ordinario”, di quotidiano, di normale.
Non sto parlando di una famigerata “legge dell’attrazione”, ma della semplice constatazione che pensare che le cose vadano in un verso, o nell’altro, sta semplicemente a te. E che, di sicuro, vivrai molto meglio la tua giornata pensando che andranno come vorresti che vadano.
Gli ottimisti hanno più successo perché vivono meglio il presente, cosa che li fa resistere di più di fronte a un’eventualità negativa. Il pessimista, invece, vivrà costantemente male, si limiterà e… secondo te, di fronte al negativo, come reagirà? L’illusione che “sarà più pronto dell’ottimista” è un’illusione (e di solito se la raccontano appunto i pessimisti – mentre gli ottimisti, guarda caso, riescono a uscirne sempre con un sorriso).
Praticare il “come se le cose andranno bene” è un ottimo modo per iniziare a guardare i fiori, anziché le erbacce, e per rendersi conto che la vita, la maggior parte delle volte, va nella direzione che ci aspettiamo e, quando non è così, abbiamo più risorse – e spesso più fortuna – di quanto pensassimo.
Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
Vuoi rimanere aggiornato su tecniche, strategie e informazioni di Terapia Breve?
Oppure cerchi uno psicologo a Roma, Monterotondo o online?
Compila il modulo qui sotto:
compila la parte “Come posso aiutarti” se vuoi un appuntamento, o lasciala vuota per iscriverti alla mia newsletter.