(Non) Devi impegnarti: problemi nello studio, nello sport e nel lavoro

Lavoro, studio, sport... quando impegnarsi troppo sfocia in un paradossale blocco.
Lavoro, studio, sport… quando impegnarsi troppo sfocia in un paradossale blocco.

Quante volte ce lo siamo sentito dire? “Impegnati e otterrai ciò che vuoi“.
E quanti di voi hanno avuto la condanna scolastica del “È intelligente, ma non si applica“?

Sembra che per ottenere dei risultati bisogna applicarsi assiduamente, sforzarsi di concentrare ogni fibra del proprio corpo sul compito e di destinare ogni neurone a vigilare attentamente sulla performance.

Eppure, questo atteggiamento può essere persino controproducente.

 

Precisiamo: impegnarsi è un bene. Senza impegno non avremmo imparato nemmeno a leggere e scrivere, figuriamoci a fare attività più complesse. Quanti quaderni abbiamo riempito di stanghette e cerchietti prima di veder apparire, con soddisfazione, il nostro nome sul foglio? E quante volte chi pratica sport ha ripetuto e ripetuto un certo movimento, prima di farlo come si deve?

Che si tratti di studio, di sport, di lavoro o altro, l’impegno è necessario per raggiungere ottimi risultati.
Ma l’impegno può essere anche una trappola.

Wittgenstein diceva che la spontaneità è l’ultimo degli apprendimenti divenuto acquisizione. Significa che un certo tipo di comportamento, semplice o complesso che sia, diventa spontaneo nel momento in cui, avendolo messo in atto più volte, è ormai da considerarsi acquisito, nostro.

«In che senso ‘acquisito’?»
Nel senso che la mente non deve esercitare più un gran controllo consapevole: viene fuori automaticamente, o spontaneamente, appunto. Come quando si imparano nuovi passi di danza: all’inizio staremo attenti ai piedi, alla posizione delle braccia, a come ruotiamo il corpo; via via che ripeteremo i passi, però, l’attenzione a quegli aspetti sarà sempre minore, finché non diverrà del tutto automatico e normale eseguirli in quel modo.
Vale lo stesso per lo studio: leggi, ripeti, ti aiuti e ripeti ancora, finché hai acquisito quelle conoscenze e puoi rispondere alle domande.

In queste situazioni, però, ci possono essere almeno due problemi.

L'eccessivo controllo è proprio ciò che fa perdere il controllo
L’eccessivo controllo è proprio ciò che fa perdere il controllo

Il primo problema è una sorta di cortocircuito razionale.

«Cioè?»
Quando hai acquisito qualcosa, quando è divenuto spontaneo, può capitarti di tornare con la mente su di esso. Fin qui tutto bene.
Il problema è quando la mente vuole esercitare troppo controllo su qualcosa che, ormai, dovrebbe andare da sé.
Ad esempio, alcuni sportivi si bloccano e non riescono più a fare cose che prima riuscivano a fare, oppure le fanno meno bene di prima, o magari le fanno bene durante le prove, ma male nel momento in cui devono gareggiare.

«Perché?»
Spesso il motivo è che in una situazione di maggiore stress (come una gara) cercano di essere “più sicuri” di fare una performance impeccabile, andando a controllare ogni movimento, ogni passo, ogni tiro, ogni azione da compiere. Questo eccesso di controllo, però, non aiuta la performance, anzi, la inibisce.

È come se, camminando, cominciassimo a prestare una costante attenzione a tutte le sequenze del movimento, col tentativo di renderle tutte perfette: il tallone destro che poggia a terra, la punta sinistra che comincia a staccarsi dal suolo, un ginocchio che si flette mentre l’altra gamba si tende… Quest’inondazione di attenzione finirebbe per snaturare un movimento altrimenti spontaneo e naturale, rischiando persino di farci cadere a terra.

All’inizio può andar bene: ad esempio, come quando abbiamo preso la patente ci dovevamo ricordare dove andavano i piedi, e gli occhi cadevano spesso sulla nostra destra alla ricerca del cambio. Ma ormai chi ci pensa più? Farlo, anzi, sarebbe una distrazione alla guida.

Una situazione simile si verifica durante lo studio. Molti studenti tentano di “farsi venire voglia di studiare”, di spronare la propria motivazione, come spiega Bartoletti nel suo pratico libro Lo studente strategico. Ma, come dice l’autore stesso: “Più si forza la mente a rimanere concentrata, più essa vaga e divaga verso mondi e percorsi paralleli”.

Il secondo problema riguarda un sovraccarico cognitivo (o un’information overload).

L’impegno, come detto, è fondamentale, ma non può diventare eccessivo: il rischio è quello di sovraccaricare un sistema che, come qualunque altra cosa, ha dei limiti. 

L'ansia da esame è spesso fonte di un eccessivo impegnarsi controproducente
L’ansia da esame è spesso fonte di un eccessivo impegnarsi controproducente

Anche qui l’esempio più classico è quello dello studente, Di nuovo, nel Lo studente strategico si fa l’esempio di chi, in vista di un esame, legge, sottolinea, ripete, rilegge, evidenzia, ripete ancora, fa i riassunti, torna su certi capitoli, ripete di nuovo, rilegge… e ad ogni passaggio gli sembra di saperne sempre meno di prima. Se leggere e ripetere aiuta, l’eccesso danneggia.

Il cervello ha bisogno di pause e tutt’al più può aiutare un buon metodo di studio. Ma già i primissimi studi sulla memoria mostravano che oltre un certo numero di ripetizioni le performance non migliorano, anzi. In più si può venire a creare un circolo vizioso per il quale più mi applico, meno ricordo, e allora mi applico ancora di più per sconcertarmi di fronte al fatto che ricordo sempre meno.

«La tua quindi è un’ode al disimpegno?»
Impegnarsi è un bene e funziona, ma come tutti gli eccessi può evolversi in un problema, persino in una patologia, se non fatto in modo intelligente, rispettando i propri limiti e il proprio bisogno di riposo. E questo vale per ogni attività.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia

Per approfondimenti:
Bartoletti, A. (2013). Lo studente strategico. Milano: Ponte alle Grazie.

 

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