Cosa vuoi dalla vita?
Ok, troppo, ridefiniamo: cosa vuoi da una psicoterapia?
Due domande troppo distanti? Eppure possono dirti qualcosa di importante.
Una buona psicoterapia dovrebbe definire chiaramente gli obiettivi da raggiungere.
«Scacciare l’ansia? Liberarsi dalle ossessioni? Superare una storia finita?».
Sì, ma si può fare di meglio. Definire l’obiettivo è il primo passo del problem solving, cioè del processo che porta da un qualunque problema alla sua soluzione.
Spesso vedo persone* che dicono: «Voglio stare bene», «Devo superare questo malessere», «Voglio essere felice».
Cosa significano queste frasi? Averle in testa ti porta a essere come un calciatore che corre senza arrivare mai davanti alla porta: il campo sembra infinito, perché non c’è una direzione precisa da prendere.
Quando si sta male si dice di “navigare in cattive acque”, ma già il filosofo Seneca spiegava che: «Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare»«.
«E come faccio a capire qual è il mio porto? Come faccio a capire dove voglio arrivare?».
Nel caso di un percorso terapeutico è lo psicologo ad avere il compito di aiutarti a definire con concretezza il tuo obiettivo. Ma prima di arrivare da lui potresti avere difficoltà quotidiane che hai bisogno di risolvere. Di fronte a esse poniti questa domanda: «Cosa dovrebbe accadere, di concreto, che mi faccia dire dire di aver raggiunto il mio obiettivo?».
La parola chiave in questa frase è “concreto“. Ciò che è necessario, infatti, è stabilire degli elementi chiari, definiti, concreti che ti farebbero capire che il tuo obiettivo è raggiunto. Possono essere comportamenti e atteggiamenti anche molto piccoli e, naturalmente, possono essere più di uno.
Ad esempio, a un uomo che dopo la morte della moglie era caduto in una profonda depressione, posi questa domanda e le sue risposte furono tanto semplici quanto significative: ricominciare a cucinare e a mangiare pasti normali anziché smozzicare cibi precotti in orari improbabili; riprendere a uscire almeno un’ora al giorno; chiamare al telefono un amico. Quando incominciò ad attuare questi propositi iniziarono a venirgli in mente altri elementi, altri obiettivi concreti che, con i suoi tempi, cominciò a mettere in atto. Questo processo fu fondamentale per uscire dalla sua situazione, come una corda gettata dall’alto che, ad ogni metro, lo ha tirato un poco alla volta fuori dalla buca.
«E se a cambiare non devo essere io? Se per dire di aver raggiunto il mio obiettivo deve cambiare qualcun altro?».
Sai, è una domanda semplice, e lo è anche la sua risposta. In tutte le relazioni e interazioni ci sono almeno due attori protagonisti: tu e l’altro. Uno può sembrare dominante, superiore… ma come si fa a dominare senza qualcuno che viene dominato? Come si fa essere superiori se non rispetto a qualcuno che è inferiore? Quindi, se manca uno, manca l’altro, se cambia uno, l’altro cambia.
Di fronte a un atteggiamento dell’altro che ti sembra immodificabile, modifica te stesso: i tuoi comportamenti, i tuoi atteggiamenti, anche quelli piccoli e minimali come un sorriso o un gesto quotidiano. Questi cambiamenti, se mantenuti e consolidati, porteranno un inevitabile cambiamento nei comportamenti dell’altro. La domanda, allora, rimane uguale, ma con una piccola sottolineatura: «Cosa dovrebbe accadere, di concreto, in me, che mi faccia dire di aver raggiunto il mio obiettivo?».
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.