La risposta è “No”.
Mi piacerebbe chiudere l’articolo qui, anzi mi piacerebbe che domande simili potessero essere chiuse da risposte così lapidarie.
E invece la diffusione mediatica di domande simili è tale che spesso occorre più di un “Sì” o un “No”, perché il disastro è dietro le porte.
Io stesso sono stato tratto in inganno appena letta la notizia, secondo la quale l’APA (American Psychological Association, un’autorità in materia di psicologia) aveva pubblicato uno studio che sosteneva che il selfie fosse un disturbo mentale.
Il mio commento è stato: “Non sanno più cosa inventarsi”. Dopodiché, rinsavito dall’attimo di sgomento per l’assurdità di un’affermazione simile, ho usato doverosamente Google, e in cinque minuti ho scoperto che:
- La notizia era falsa
- La notizia era vecchia di mesi
- La notizia era stata già confutata subito dopo essere stata messa in giro
«Quindi hai pensato di scrivere questo articolo per dire come stanno le cose?»
In realtà no.
Come detto, la notizia è vecchia di mesi; purtroppo continua a rimbalzare da una condivisione all’altra (io stesso, prima di fare le ricerche più approfondite, l’ho letta da una fonte che, a primo impatto, sarebbe potuta sembrare autorevole), ma scrivere un altro articolo che la smentisce mi sembra poco utile (ci hanno già pensato fonti con una gittata maggiore di questo blog, come Wired e Forbes).
Quello che volevo sottolineare, oggi con poche e rapide parole, è un altro messaggio: attenti alle etichette.
Le etichette ci piacciono, prima di tutto perché possono semplificare la vita: se metto le etichette giuste eviterò di scambiare il sale con lo zucchero e bermi un caffè disgustoso, e con le etichette posso distinguere i film adatti a un bambino da quelli che è meglio guardare insieme a lui.
Fin qui tutto bene.
Il problema sorge quando ci scordiamo che le etichette, soprattutto alcune, non esistono in natura. Siamo noi che diamo il nome alle cose e alcune sono particolarmente soggette a flessibili interpretazioni, spesso anche dettate dalle mode del momento.

L’etichetta garantisce delle proprie alle cose… e alle persone. Ma siamo sicuri si tratti di proprietà reali?
L’etichetta ci piace, ci affascina, perché sembra chiarirci qualcosa di più sul mondo, sembra in grado di rendere intellegibile qualcosa che fino a poco prima era poco compreso. Ma questo fascino rischia di diventare demoniaco nel momento in cui etichettiamo senza criterio, creando realtà nuove che ci sfuggono di mano.
Così oggi, per esempio, ci troviamo in classi di venti bambini in cui oltre il 50% sono definiti “dislessici” (si tratta di un caso reale): un evento di incredibile portata se si stima che, secondo gli studi, l’incidenza della dislessia sulla popolazione scolastica italiana si attesta all’incirca tra il 3 e il 10%. Ma l’etichetta è facile da appiccicare e proprio con troppa facilità si tende a metterla lì dove non si dovrebbe, dimenticandosi che non è altrettanto facile da togliere e che, anche una volta tolta, rimangono sempre quei residui collosi difficili da grattare via.
Questo è il lato oscuro dell’etichetta.
E così capita che arriva la moda del selfie e che la gente cominci a farsene talmente tanti che qualcuno ci ride su dicendo che è una “malattia” e qualcun altro ci crede sul serio. Ora, poco male per i selfie. Ma come spiegare l’aumento vertiginoso di diagnosi di, appunto, dislessia, autismo o ADHD?
Qualcuno dirà che il progresso della scienza permette di vedere cose che prima non potevamo vedere. Qualcun altro sosterrà che in parte (o in toto) è responsabilità di logiche di mercato legate, ad esempio, alla vendita di psicofarmaci. Quale che sia la verità, a noi viene in mente quel messaggio che gira da qualche giorno su WhatsApp come una catena di Sant’Antonio e che ci ricorda che i nostri nonni, i nostri genitori e anche noi figli delle ultime decadi del ‘900 abbiamo vissuto e siamo cresciuti molto bene pur senza tante conoscenze oggi considerate realtà inossidabili.
Attenti alle etichette.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondimenti
Giornale di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, Volume 24, Agosto 2004, Supplemento n. 1
stefano
Bhe caro Flavio innanzitutto tutto mi piacerebbe leggere quel messaggio di whatsapp che così riassunto trovo ineccepibile detto questo mi trovi d’accordo sul fatto che stiamo esagerando o meglio stiamo in un epoca dove dove non la conoscenza ma la superficialità delle informazioni non ha eguali.
Trovo disarmante e a volte destabilizzante come chiunque si erga a persona informata e ahimè “colta” x il sol fatto di aver letto su internet e poi se capita che x qualche arcano motivo ti capita di parlare di un fatto/argomento che conosci ti rendi conto che dietro non si é capito niente o si é letto una grande bufala; sai mi ricorda lo scherzo degli alieni……
Però tutto ciò é molto triste un tempo si diceva beata ignoranza, sai oggi non si sa più cosa inventarsi se un bambino non studia, non sappiamo più cosa inventare per “una scuola migliore” e io dico siamo cresciuti tutti abbiamo avuto tutti le stesse possibilità di diventare qualcuno, c’é chi c’è l’ha fatta e chi no c’é chi é diventato ingegnere e chi ha fatto il contadino c’é chi é nato in cima ad una montagna e chi è nato a Napoli insomma caro Flavio io son convinto che stiamo veramente esagerando.
Basterebbe un po di buon senso il mondo negli ultimi 20anni sta correndo troppo rispetto al nostro adattamento, l’uomo si adattato alle grandi rivoluzioni piano piano ora non c’è la fa più ad adattarsi….
Flavio Cannistrà
Caro Stefano, capisco bene quel che dici.
Il mondo che viviamo ora è questo, dobbiamo imparare ad amministrarlo – ad adattarci, come hai detto tu – anche se è difficile. Anche nello studio dello psicologo vedi nuovi problemi creati dal momento presente, o vecchi che ne sono esacerbati. Fortuna vuole che l’uomo abbia una millenaria dose di risorse interne: va solo (ri)trovato il modo di utilizzarle bene.
Ho scovato una trascrizione del messaggio di WhatsApp su questo sito: http://www.finanzaonline.com/forum/arena-politica/1645080-come-abbiamo-fatto-sopravvivere.html