“Perché mi capita sempre la stessa cosa?” Le tentate soluzioni disfunzionali

“Perché Mi Capita Sempre La Stessa Cosa?” Le Tentate Soluzioni Disfunzionali Cosa sono le tentante soluzioni disfunzionali?

“Perché finisco in rimuginii continui e implacabili?”
“Perché le mie relazioni finiscono sempre male?”
“Perché sono imprigionato da anni in questa gabbia di tristezza e pessimismo?”*

Ti chiedi mai qualcosa di simile? O qualcos’altro, come: “Perché quando vado a dare gli esami/quando devo parlare in pubblico mi agito sempre?” o “Perché sono sempre convinto che qualunque segnale del mio corpo sia il preludio a una grave malattia?”.

Insomma, perché ti capita sempre la stessa cosa, in un certo ambito della tua vita (ad esempio l’ambito relazionale, quello lavorativo, o quello più personale e soggettivo), o più di uno?

Le teorie psicologiche al riguardo si sprecano, e non cercherò certo di fare una sintesi. Ti dirò piuttosto come lavoro io, cioè a quale di queste teorie faccio riferimento. Una teoria molto pragmatica e concreta, che più che indagare sulle presunte cause passate, si concentra su “perché ancora oggi ti succede questo” e su come interrompere questo meccanismo.

Il Centro di Terapia Breve di Palo Alto

Siamo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 e nella psicoterapia c’è un gran fermento. Fino ad allora, se volevi risolvere i tuoi problemi, ti dovevi affidare principalmente a due grandi teorie: quella psicoanalitica e quella comportamentale. Non erano le uniche, ma erano sicuramente le principali.

Da un po’ di tempo, però, terapeuti di tutto il mondo cominciavano a indagare più intensamente come ridurre la durata della psicoterapia. Sì perché la psicoanalisi in particolare ci metteva troppo tempo (molti anni) per aiutare la persona a liberarsi dei propri problemi. La terapia comportamentale, d’altro canto, era spesso più veloce, ma comunque insoddisfacente.

È in questi anni che si inizia a parlare di “Terapie Brevi”, un termine che i suoi stessi proclamatori non ritennero il migliore, ma che sottolineava il fatto che si volevano studiare dei modi di fare terapia alternativi a quella attuale, per l’appunto considerata troppo “lunga” nei tempi.

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Io al Mental Research Institute, sede del Brief Therapy Center, dove sono andato a studiare la Terapia a Seduta Singola nel 2016.

E tra questi terapeuti un ruolo primario ce l’hanno quelli del Brief Therapy Center (Centro di Terapia Breve), presso il Mental Research Institute di Palo Alto, California, tra cui figurano Richard Fisch, Paul Watzlawick, John Weakland & Arthur Bodin.

E da qui (in particolare con un libro chiamato proprio Change. Sulla Formazione e la soluzione dei problemi) si arriva a identificare un concetto chiave nella formazione e nella soluzione dei problemi: la soluzione tentata.

Cosa fai di fronte alle difficoltà

I membri del Centro di Terapia Breve fecero una cosa molto semplice: anziché partire formulando delle teorie astratte, condussero una serie di interviste a persone di ogni tipo (persino a poliziotti e malviventi), per capire come ci comportiamo di fronte a una difficoltà e, più in generale, come avviene il cambiamento.

La risposta fu molto semplice: di fronte alle difficoltà mettiamo in atto una soluzione.
Ma quale soluzione è quella giusta?

Non è detto che, di fronte a una difficoltà, tu sappia sempre qual è il modo migliore per risolverla: in altre parole, potresti non sapere qual è la chiave giusta per aprire quella porta. Poco male, però. Perché puoi fare affidamento sulla tua esperienza e usare delle soluzioni che hanno già funzionato per altre difficoltà; oppure a delle soluzioni che, in passato, per quella difficoltà hanno funzionato.

A volte questo funziona.
Per esempio, fin da piccolo potresti aver imparato a trattenere la rabbia e potresti aver scoperto che questo si rivela molto utile, magari venivi persino elogiato per la tua capacità di self-control (“È un bambino così calmo”). Ma sai, in realtà nemmeno ci interessa sapere se effettivamente questa cosa l’hai appresa da bambino o successivamente: il fatto è che hai imparato a trattenere la rabbia e affrontare le situazioni critiche con calma. Questa è la soluzione che metti in atto tu di fronte ad esse.

Ma altre volte questo non funziona.

Le tentate soluzioni disfunzionali

Continuando l’esempio, potresti aver generalizzato questo comportamento, diventando in generale una persona che non esprime la propria rabbia, e neanche il disappunto, e magari neppure il fastidio. Così gli altri spesso se ne approfittano di te o, ancora più probabile, non sono in grado di capire se una cosa ti dà fastidio o meno – e finiscono immancabilmente per fare cose che di fastidio te ne danno parecchio.

Quindi, di fronte a cose che non ti vanno bene, tu reagisci trattenendoti e incassando il colpo. Ma ecco che questa tua soluzione, in questo ambito, diventa “disfunzionale”, cioè non funziona, non risolve la difficoltà: infatti trattenendo la rabbia e il disappunto le persone non imparano a trattarti meglio.

Tecnicamente si parla di “tentate soluzioni disfunzionali”

Nota: a mio parere è molto più facile comprendere questo concetto chiamandolo “soluzione tentata” e non “tentata soluzione”; tuttavia la traduzione inglese del termine attempted solution in uno dei primi libri in italiano fu, appunto, “tentata soluzione” e oggi quasi tutti gli psicoterapeuti usano questo termine.

Come ti creo un nuovo problema

Nell’esempio di prima ti saranno chiare 2 cose:

  1. la tua difficoltà diventa un problema: se all’inizio era una semplice difficoltà, nel momento in cui comincia a causarti disagio, a penetrare in diversi ambiti della tua vita, a farti star male per una ragione o per l’altra, ecco che abbiamo un problema.
  2. il tuo problema è mantenuto in vita da ciò che fai: cioè il fatto che gli altri non capiscono quando qualcosa non ti va bene oppure fanno cose che ti danno fastidio, è mantenuto in vita dalla tua soluzione disfunzionale. Più ti trattieni, meno loro si accorgeranno di te.

Ma c’è di più.

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Nell’esempio, trattenere la rabbia può alla lunga portare a esplosioni di collera.

Una soluzione disfunzionale non solo mantiene in vita il problema, ma può dar luce anche a un problema nuovo. Ad esempio, cosa pensi che accada se tu, giorno per giorno, trattieni il fastidio, il disappunto e la rabbia, di fronte alle cose che non ti vanno bene?

Esatto: esplodi.

E così può capitare che, ogni tot tempo, oppure in ambiti diversi da quello lavorativo (ad esempio, in famiglia), hai delle vere e proprie crisi di rabbia, delle esplosioni d’ira incontrollate. Il fatto di trattenerti di continuo di fronte alle cose che non vanno ha fatto sì che tu abbia accumulato una pressione tale che, per forza di cose, di tanto in tanto non riesci a trattenerti dall’esplodere con veemenza.

Si è creato un nuovo problema.

Un po’ di esempi: panico, relazioni, ipocondria, rimuginii e depressione

Per chiarezza ho parlato di un esempio, quello di chi trattiene la rabbia. Vediamo adesso una serie di altri esempi, di diversa natura, in cui le soluzioni tentate mantengono, aggravano o producono il problema. Anche in questo caso saranno esempi molto semplificati, perché ciò che mi interessa è farti capire il concetto alla base.

Dall’ansia al panico

L’ansia è un stato normale e, anzi, desiderabile. Deriva dalla paura e la paura ci serve per metterci in allerta. Se, però, 10’000 anni fa la paura era soprattutto quella di essere mangiati da un animale più grande, oggi ci sono spesso anche altri tipi di paure: sociali, emotive, scolastiche, lavorative ecc. Ci sono però un paio di elementi che rimangono immutati.

Quando hai paura, infatti, tendi a fare principalmente due cose: eviti e chiedi aiuto/supporto. Ad esempio, se hai paura di un esame potresti non andarci, potresti rimandare lo studio di settimana in settimana, o potresti proprio non aprire il libro: sono tutti evitamenti. Oppure, se hai paura di un luogo o di una situazione, potresti chiedere a qualcuno di fidato di accompagnarti.

Questo è quello che capita alla maggior parte delle persone. Per dirla meglio, l‘evitamento e la richiesta di aiuto sono due “soluzioni tentate” (devo dire che non tutti chiedono aiuto/supporto di fronte a una situazione ansiogena, mentre quasi tutti mettono in atto un comportamento di evitamento).

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Alcune tentate soluzioni nei disturbi d’ansia e panico

Il problema è che se eviti, o se chiedi aiuto, ti stai mandando una serie di messaggi, del tipo: “Io non sono in grado di farcela da solo”, “Io ho bisogno del supporto di qualcuno”, “Quella situazione/evento è decisamente troppo grande per me” o “è decisamente spaventosa/minacciosa”, ecc.

Fallo, rifallo e rifallo ancora e… ecco che succede una cosa analoga a chi, trattenendo la rabbia, poi deve esplodere: accumuli. In questo caso non accumuli rabbia, ma accumuli ansia e messaggi negativi.

Da qui, si può arrivare facilmente a sviluppare forme di ansia maggiori, che possono andare da un disturbo d’ansia generalizzato (soffrire d’ansia quasi costantemente, in quasi qualunque situazione), alle fobie per animali o situazioni specifiche, fino alle fobie sociali e agli attacchi di panico.

Di nuovo, ho semplificato per esigenze esplicative, ma credo di aver reso l’idea.

Relazioni conflittuali

Sulle relazioni si potrebbero fare ancora più esempi, e ancora più complessi! Cerchiamo di semplificare anche qui.

Una cosa molto tipica di alcune coppie è “non comunicare i propri disagi“. Paul Watzlawick, in un testo divulgativo, racconta la storia di quell’uomo che, il primo giorno di convivenza, si trovò a colazione una confezione di cornflakes.

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Alcune tentate soluzioni nelle relazioni di coppia.

Lui odiava i cornflakes. Però non voleva dare un dispiacere alla moglie proprio quel primo giorno, così li mangiò tutti in una volta.

La moglie, sorpresa da tanta voracità, pensò di aver azzeccato in pieno: dovevano davvero piacergli i cornflakes! Così il giorno dopo glieli fece ritrovare. L’uomo non ebbe il coraggio di confessare che, il giorno prima, li aveva mangiati solo per farle un piacere e così li rimangiò in silenzio.

Sedici anni dopo, racconta Watlzawick, l’uomo ancora mangia i tanto odiati cornflakes ogni mattina.

Un altro esempio è quello da cui sono partito per scrivere il mio ebook “La persona sbagliata” (che credo ormai abbia superato il migliaio di download). Spesso continuiamo a trovare delle relazioni che non funzionano, perché mettiamo in atto le stesse modalità di scelta. Qui il concetto è un po’ più complesso di quello di “soluzione tentata”, ma ancora una volta ciò che facciamo continua a infilarci nello stesso problema. O meglio, nella stessa relazione problematica.

Ipocondria (o ansia da malattie)

L’ipocondria, oggi meglio nota come “ansia da malattie“, è in realtà collegata ai problemi d’ansia visti sopra, ma con una variante. La persona tende a mettere in atto principalmente 2 soluzioni disfunzionali:

  1. ascolta costantemente il proprio corpo
  2. chiede rassicurazioni o visite specialistiche
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Alcune tentate soluzioni nell’ipocondria.

Di nuovo, senza scomodare l’origine di questo (cioè perché la persona abbia iniziato a fare così), osserva come queste due soluzioni mantengano il problema in vita.

Infatti, se ascolti costantemente il tuo corpo sarà più facile che tu “senta” qualcosa. In più, se lo ascolti “con preoccupazione”, ciò che senti, ovviamente, ti agiterà. E se lo ascolti con agitazione, i sintomi ti sembreranno più forti e intesi che mai – o, in certi casi, proprio la tua agitazione li renderà tali.

In più, se chiedi rassicurazioni, o se fai visite specialistiche, ti stai mandando un messaggio, proprio come abbiamo visto più sopra per l’ansia: “In effetti potrei avere un problema fisico”. E se la visita non trova niente, da un lato potrebbe rassicurarti, ma dall’altro potrebbe gettare il seme per un nuovo dubbio: “E se il mio problema fisico fosse talmente grave da scappare ai normali controlli?”. Questo ti farà agitare di più, agitandoti sentirai sempre più i sintomi fisici, e richiederai nuove visite/rassicurazioni.

Ancora una volta, la soluzione tentata (ascoltarsi e chiedere rassicurazioni) mantiene o esaspera il problema.

Rimuginii e dubbi continui

Quello dei rimuginii è un esempio molto lampante di come una soluzione che funziona in un certo ambito diventa disfunzionale in un altro. Infatti, di solito, chi rimugina molto, o chi è afflitto da dubbi costanti, è una persona che è molto abituata a usare la logica e la razionalità.

Questa è una risorsa, perché sicuramente le permette di risolvere una serie di problemi. Tuttavia ci sono problemi che non possono essere risolti con la logica e con la razionalità. Tanto per dirne uno: “Amo o no il mio partner?” L’amore è un fascio di sensazioni ed è un vissuto molto complesso e contraddittorio: è praticamente impossibile dare una risposta solo con la razionalità, e per farlo bisogna appunto accettare che esistano delle contraddizioni.

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Alcune tentate soluzioni per chi pensa troppo.

Chi rimugina troppo di solito lo fa perché, in altri ambiti della sua vita, questo gli è molto utile (o gli è stato molto utile). Però ora è come se fosse fuori controllo, e usa un eccesso di razionalità laddove questo non è necessario o, addirittura, è deleterio.

Io uso spesso questo esempio: è come se tu avessi una spada, che rappresenta la tua razionalità. Sei un ottimo spadaccino, il che significa che sai usare la tua spada con maestria, raggiungendo grazie ad essa degli ottimi risultati. Poi, però, accade una cosa: comincia a piovere. E tu, che hai imparato a tagliare qualunque cosa con la spada, pretendi di usarla per tagliare la pioggia. Quando, che ti piaccia o meno, devi solo rinfoderare la spada e aspettare che la pioggia passi.

Depressione

Arriviamo infine all’esempio della depressione. Molti di noi possono reagire alle avversità chiudendosi. Per la verità può essere molto utile: crei una sorta di scudo emotivo, aspetti che la tempesta passi e, idealmente, raccogli le energie mentre aspetti di rimetterti in gioco.

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Alcune tentate soluzioni di chi è depresso.

Tuttavia, chiudersi sempre o per lunghi periodi (anche dopo che la tempesta è passata) di nuovo ti comunica una serie di messaggi, come: “Effettivamente ‘nel mondo’ le cose sono fuori controllo”, “Io non ho abbastanza forza per affrontare le avversità”, “È molto facile ferirmi emotivamente”, “Non dispongo degli ‘anticorpi’ per sopportare le sconfitte” e così via.

Immagini già dove può portare la soluzione del chiudersi, vero? Alla lunga, la sfiducia diviene totale e globalizzante, trasformandosi in rinuncia. C’è chi rinuncia a certe parti della propria vita (il lavoro, le relazioni con gli altri ecc.), chi rinuncia a tutto, e chi rinuncia alla vita stessa.

Bloccare le tentate soluzioni disfunzionali

A questo punto cosa si fa?

Parte del mio lavoro (non tutto, ovviamente) sta nell’aiutarti a individuare le soluzioni disfunzionali che stai continuando a mettere in atto e che mantengono in vita il tuo problema, così da trovare delle strategie concrete per bloccarle.

Al Centro di Terapia Breve di Palo Alto cominciarono a fare proprio questo, e videro come la maggior parte dei problemi semplicemente quasi “svaniva” quando si smetteva di mettere in atto le soluzioni disfunzionali che li mantenevano in vita.

Naturalmente alcuni problemi possono richiedere più tempo, perché ad esempio se il tuo problema è in vita da 10 o 20 anni probabilmente avrai bisogno di re-imparare un nuovo modo – funzionale! – di comportarti. Tuttavia, il primo passo è proprio questo: individuare e bloccare le tentate soluzioni disfunzionali. Cosa che già porta velocemente a un primo sblocco.

E puoi farlo anche tu, prendendo un blocco note e appuntandoti, giorno per giorno, come ti comporti di fronte a certe situazioni che vorresti migliorare, quali sono cioè i comportamenti che metti in atto per affrontarli. Questo ti permetterà di raggiungere una maggior consapevolezza e, più facilmente, di cominciare a bloccare e cambiare quei comportamenti.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve,
Terapia a Seduta Singola
e Ipnosi

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Riferimenti bibliografici

Watzlawick, P. et al. (1974).  Change. Sulla Formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio, 1975.

*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.