
“Quando sono sola mi sembra di impazzire, di vivere un vuoto senza fine, e allora (me ne rendo conto) mi attacco morbosamente agli altri, per paura di perderli, di perdermi… Eppure, un attimo dopo, quando credo di aver raggiunto quella sicurezza, tutti mi sembrano inutili, addirittura fastidiosi: mi disgustano, li odio a volte! … Non lo so, non sempre mi riconosco.“*
“Borderline” è un concetto affascinante e spaventoso. Ne parlano più o meno approfonditamente tanti film, come Betty Blue, Attrazione fatale e Ragazze interrotte, dando dei quadri spesso diversi. Gunderson ne parla nella sua Guida per professionisti e familiari.
La verità è che anche gli psicologi devono fare un grande sforzo per descrivere un quadro che, a partire dalla sua definizione, è a metà strada, sospeso, indefinito.
“A volte mi trovo seduto, in bagno, con dei graffi che neanche ricordo di essermi fatto. A volte me li faccio perché ho bisogno di sentire qualcosa, di sentire che sono vivo, presente. A volte invece non voglio sentire il dolore, il nulla soffocante che mi trascina verso un abisso di cui è impossibile toccare o anche solo pensare il fondo. A volte, poi, non vorrei sentire più e basta: pace, per sempre“.
Il DSM-IV-TR (la quarta edizione rivista del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, punto di riferimento per molti professionisti della salute mentale, benché ampiamente criticato per i suoi limiti) usa questi criteri per porre una diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità; ne sono necessari almeno cinque insieme:
– sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono
– un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione
– alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili
– impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate ecc.)
– minacce ricorrenti, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante
– instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (ad esempio: episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e solo raramente più di pochi giorni)
– sentimenti cronici di vuoto
– rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllarla (ad esempio: frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.)
– ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress
“È come essere ciechi. Ti giuro, non so perché lo faccio: scatto e colpisco e faccio male e lo so. Vorrei calmarmi, ma è più forte di me, di qualunque cosa. Gli altri… credo che siano prosciugati da me: vorrei aiutarli, stare bene, fargli del bene, e invece finisco per ferirli. Forse un po’ se lo meritano, e allora finisco per odiarmi. Spesso bevo, per quanto mi odio: bere mi dà sollievo“.
È un po’ limitante definirlo in base a queste caratteristiche, ma danno l’idea di un quadro complesso, tanto quanto la prognosi: spesso, infatti, il disturbo borderline si accompagna ad altri quadri diagnostici (alcolismo, gioco d’azzardo, dipendenza relazionale…). Ma lavorare su questo disturbo è possibile.
Spesso, ciò di cui c’è bisogno è un paziente lavoro tessile, che punto per punto vada a ricucire gli strappi che impediscono alla persona di tenersi assieme, di avere una stabilità nella propria vita (e di portarla nella vita di chi ha attorno).
“Non ci riesco, capisce? È più forte di me: mi dico di amarlo, ma mi ritrovo ogni sera in un letto diverso, dove non c’è lui, dove spesso non so nemmeno chi ci sia (mi alzo, cerco i vestiti e me ne vado). Poi torno a casa e gli dico che lo amo e facciamo l’amore, ma la volta dopo si ricomincia. Basta poco: uno sguardo, una sensazione… Ma è così con tutto e con tutti. Io non credo di riuscire a legarmi veramente, perché sarebbe come cercare di essere una sola, mentre io mi sento “tante”, capisce che intendo? Non nel senso di avere più personalità, ma nel senso di avere più… bisogni, e di avere necessità di soddisfarli“.
Si parla di “disturbo di personalità” proprio per la sua pervasività nell’intera vita della persona, negli aspetti diversi ed essenziali, così come nelle sfaccettature. Certo che, così come il disturbo, la guarigione stessa sarà un processo pervasivo, che andrà a ristabilire un equilibrio migliore lì dove prima c’era solo una costante incertezza cognitiva, emotiva e relazionale.
Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia
Per approfondimenti:
Gunderson, J.G., Hoffman, P.D. (2010). Disturbo di personalità borderline. Una guida per professionisti e familiari. Milano: Springer.
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*Tutti i casi descritti in questo blog sono frutto di invenzione, basati sulla mia esperienza clinica e non riferiti a persone realmente esistenti.