I momenti di crisi: quando arrivano e come superarli

Ti sei mai chiesto, di fronte a un grande problema personale, o a una lunga serie di difficoltà, come mai tutto ciò ti stia capitando proprio ora?

Una delle domande che in terapia breve viene posta quasi in ogni volta prima seduta è: “Perché proprio ora? Cos’è successo? Cos’è cambiato? Cosa significa questo particolare periodo?”.

A volte è una domanda diretta, altre viene presa più alla larga, ma in ogni caso serve uno scopo preciso: identificare se attualmente ti trovi a vivere un momento critico del tuo ciclo di vita.

In realtà nella vita esistono tanti momenti critici e non tutti sono legati a fasi particolari della crescita personale. Però è altrettanto vero che molte difficoltà sono legate proprio a queste fasi.

Personalmente tendo a considerare che a livello individuale più che una “crisi di mezza età” ormai ci siano le “crisi del decennio”: idealmente, in ogni nuova decade di vita (verso la pubertà, verso i vent’anni, verso i trenta, verso i quaranta e così via) ci troviamo in una nuova fase di sviluppo, che comporta cambiamenti e sconvolgimenti tali che, spesso, ci troviamo senza risorse.

Ad esempio, se è facile capire come questo possa avvenire con l’arrivo della pubertà, si può anche capire come verso la fine della scuola dell’obbligo e l’ingresso ufficiale nell’età adulta, tutta una serie di riferimenti precedenti vengano meno e tanti altri debbano delinearsi: cominciare a maturare più responsabilità, indirizzare con più decisione il proprio futuro (scegliendo più consapevolmente una professione o un percorso di studi che potrebbero incidere significativamente su di esso), trovarsi più concretamente a costruire la propria autonomia, ecc.

Allo stesso modo, attorno ai trent’anni si fanno più forti alcune necessità, come quella di pensare in termini più concreti e operativi a costituire un proprio nucleo familiare (e a ritrovarsi in contesti in cui sempre più persone attorno a noi lo stanno facendo), a cercare e pretendere una maggiore stabilità economica, a costruire un proprio ruolo sociale, a fare un primo forte resoconto della direzione intrapresa negli ultimi anni, e altro ancora.

Ogni decade ha alcuni elementi caratteristici (più o meno variabili a seconda della persona, delle culture di appartenenza, ecc.), e non è strano che ogni persona che scelga di fare psicoterapia spesso riporti problemi che in qualche modo si ricollegano alla particolare fase di vita che sta vivendo. D’altronde fasi diverse comportano compiti diversi.

C’è però da dire che la società liquida in cui viviamo oggi, dove vincoli e valori sono sempre più fluidi e slegati, fa sì che anche “le crisi del decennio” siano in realtà meno legabili a date prefissate. Se prima poteva essere più facile aspettarsi determinate problematiche intorno alla decade di riferimento (18-22 anni, 28-32, 38-42 e così via), adesso queste scivolano in avanti o indietro anche di parecchi anni, cosicché ci si può trovare a 26 anni ed accorgersi di non aver ancora elaborato, maturato e superato le difficoltà e le sfide che l’entrata nella maggiore età aveva messo in campo.

Comunque sia, prendendo a prestito un concetto di Jay Haley, in ognuna di queste fasi ci troviamo a ad affrontare una cosiddetta “crisi di transizione”: come un piccolo terremoto l’entrata in campo di una nuova fase di vita comporta nuovi compiti, nuove sfide, ma anche una nuova percezione di sé, degli altri, dei rapporti che possiamo e non possiamo (più) intrattenere con loro, e del nostro ruolo col mondo, con la società, con le leggi e le regole che lo costituiscono. Tutto ciò ha forti influenze sul nostro vissuto, sul modo in cui ci viviamo e in cui ci percepiamo.

Per fare un esempio, semplice ma chiarificatore, entrare nei 18 anni significa percepire che ora si risponderà direttamente delle proprie azioni: idealmente una parte di te sarà più consapevole che una certa “rete di protezione” (gli adulti) non ci sarà più a salvarti da qualunque scivolone dovessi prendere: ora l’adulto sei tu.

Allo stesso modo, finiti gli eventuali studi universitari e post-universitari (o i primi lavori) ci si avvicina verso una consapevolezza crescente che “ora le cose si fanno serie”: gli amici si sposano, altri comprano casa, altri mettono in piedi la propria attività. E tu? Cosa vuoi fare? E come farai a farlo? Hai già un lavoro? È quello che vuoi fare? Ti permette di raggiungere i tuoi obiettivi, di coltivare i tuoi interessi, di perseguire le tue passioni? E in quanto a relazioni sentimentali? Come sei messo? Cosa desidereresti? Cosa hai ottenuto finora?

Non è un caso che in queste fasi della vita individuale si manifestino crisi d’ansia (l’ansia, ricordiamolo, è un campanello d’allarme che ci dice: “Ehi, qui c’è qualcosa a cui devi necessariamente fare attenzione!”), reazioni depressive (“Non sono in grado, non ci sono riuscito finora, non ci posso riuscire e forse non ci riuscirò mai”) o veri e propri disturbi clinici.

Cosa possiamo fare di fronte a tutto questo?

Innanzitutto considerare che una quota d’instabilità e incertezza è normale. Un concetto usato in simili contesti (soprattutto considerando un altro ciclo vitale, quello della famiglia) distingue tra “eventi normativi” ed “eventi paranormativi”: mentre i primi riguardano tutti quegli eventi che, per quanto critici, ci si aspetta di vivere e affrontare nel corso del ciclo vitale (ad esempio i figli che lasciano “il nido”, l’andare in pensione, la morte dei nonni anziani), i secondi sono quegli eventi che, pur facendo parte della vita, risultano inaspettati (come un lutto improvviso, o un licenziamento non programmato).

Soprattutto pensando ai primi puoi capire come durante la vita, in realtà, tu di continuo giochi a restare in equilibrio – e la maggior parte delle volte rimani in piedi. Saggiamente John Lennon disse che “la vita è ciò che ti capita mentre stai facendo altri progetti”.

Allenarsi alla flessibilità è sicuramente un primo punto chiave. Significa vivere senza l’illusione di poter programmare e controllare ogni aspetto della vita, accettando, dosando e in qualche maniera ricercando un certo grado di imprevedibilità, cosicché quando sarà lei a trovare te non ti coglierà del tutto impreparato. Infatti una delle illusioni più grandi, in particolar modo nella società che viviamo oggi, è l’illusione di poter controllare tutto, persino la vita.

In secondo luogo possiamo accettare che abbiamo delle risorse e conoscenze limitate e che solo col tempo riusciremo a capire come risolvere un problema o una situazione completamente nuova. Così come quando si comincia un gioco del tutto nuovo o si ha per le mani un nuovo strumento o dispositivo sconosciuto bisogna cominciare a giocarlo, a usarlo, per capirne il funzionamento, così dobbiamo giocare la partita che abbiamo di fronte per poter capire come funziona. Sbaglieremo, cadremo, e da ogni sbaglio trarremo un apprendimento, che ci permetterà di aggiustare il tiro, sistemare la rotta, arrivare infine alla meta. E a chi si preoccupa del “quando” arrivare, o del “come” arrivarci, può tornare utile ricordare che il futuro non è qualcosa che “arriva”: lo costruisci facendo o non facendo cose, e nessuno conosce tutti i passaggi giusti; anzi, nessuno può farli! Tutti incappiamo in un errore – in realtà in più di uno. È esattamente così che si vive.

Ricorderai ad esempio che Edison, prima di arrivare a creare la lampadina, una sfida decisamente epocale per il periodo, fallì migliaia e migliaia di volte. E il suo atteggiamento è stato: “Non sto fallendo: ogni volta apprendo un nuovo modo per non costruire la lampadina”.

Dott. Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Terapia Breve Strategica
e Ipnositerapia

Per approfondimenti:
Haley, J. (1973). Terapie non comuni. Roma: Astrolabio, 1976.