Se vai da uno psicoterapeuta non rischi di diventarne dipendente e non riuscire più a smettere?
Per alcuni sembrerà improbabile, ma questa domanda se la sono posti in molti. Non è strano, anche visto che ci sono psicoterapie che durano anni, e altre in cui la persona sembra non fare alcun miglioramento. Da qui, il passo a domandarsi se il problema non sia nell’aver sviluppato una “dipendenza dalla psicoterapia” è breve.
Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza, di capire meglio il concetto e anche di imparare quando è utile una psicoterapia… e quando no.
Dipendenza dalla psicoterapia
Innanzitutto sfatiamo un mito: la psicoterapia non crea dipendenza. Non più di quanto possa crearla il jogging o la crema pasticciera. La psicoterapia non è nient’altro che un lavoro su se stessi, che consente di capire quali comportamenti e pensieri creano/mantengono un problema (o un disturbo), e come cambiarli o farli cessare.
Questo, in sé, non ha nulla che crei dipendenza, e ormai si è visto che la psicoterapia è efficace nell’ottenere dei risultati. Certo, ci sono due cose che però vanno tenute in mente:
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Puoi trovare la terapia non adatta a te: io non ho paura di dire questo, o di fare “cattiva pubblicità” alla mia professione. Per il semplice fatto che mi sembra talmente assurdo pensare il contrario (cioè che qualunque terapia funzioni sempre e comunque) da ritenere lapalissiana quella affermazione.
Insomma, quando vai da un medico, quando porti l’automobile ad aggiustare, quando fai partire un anti-virus… non sei sicuro al 100% che sarà efficace. Magari dovrai rivolgerti a un altro medico, cambiare meccanico o aggiornare l’anti-virus.Idem per la psicoterapia. Capace che quel tipo di terapia (sia come approccio – perché esistono tante forme di psicoterapia, allo stesso modo in cui esistono tanti farmaci diversi – sia per quel tipo di problema) non sia adatta a te, o al tuo problema; o magari lo è, ma quel terapeuta non è stato in grado di applicarla correttamente.
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Puoi trovare un terapeuta poco capace: e anche questo è lapalissiano. Posta la buona fede di qualunque professionista, che dovrebbe spingerlo a indirizzarti da un collega qualora non si ritenesse in grado di aiutarti, può anche darsi che sia convinto di poterti aiutare, ma che semplicemente non riesca (certo, a mio parere dopo un po’ di sedute, se non si ottiene nulla, dovrebbe porsi qualche domanda, ma questo è un altro discorso).
Anche qui, questo può capitare e, sì, può anche capitare che il terapeuta non si stia accorgendo che quel lavoro non sta permettendo a quella persona di “fare a meno della psicoterapia”. Perché in definitiva è questo il nostro scopo ultimo: far sì che tu non abbia bisogno di noi. Ma, come sopra, questo non ha nulla a che vedere con la “psicoterapia”, ma con (per fortuna pochi) “psicoterapeuti” che magari non si rendono conto di non stare aiutando nel modo migliore la persona (un bel libro sull’argomento, che consiglio spesso, è Manuale di sopravvienza per psico-pazienti).
E poi c’è, appunto, la persona.
I dipendenti
Non so se parlare di “dipendenti relazionali” sia la cosa giusta, perché solitamente con questo termine si identifica un tipo di persona ben preciso. Ma di sicuro ci sono persone che tendono a creare dei tipi di legami connotati da aspetti di “dipendenza”. E anche qui ne troviamo 2:
- Chi stabilisce legami di dipendenza in generale: cioè persone che, in generale, tendono molto a dipendere dagli altri, a delegare, a non assumersi meriti (e demeriti) per le proprie azioni, a non sentirsi proprio in grado di compierle certe azioni, preferendo seguire indicazioni o, meglio ancora, lasciar fare agli altri.Possiamo pensare che queste persone anche in terapia tenderanno a stabilire questo tipo di relazione col terapeuta. Ma, per fortuna, noi professionisti siamo allenati a questo. Siamo allenati a identificare queste situazioni e anche a lavorarci, per far sì che la persona eviti di mettere in atto questo tipo di auto-sabotaggio.
- Chi stabilisce legami di dipendenza nello specifico: cioè nella specifica relazione con lo psicoterapeuta. Si tratta di persone che, nella vita quotidiana, non hanno particolari problemi di dipendenza relazionale con gli altri (non così marcati, almeno), ma che si mostrano invece molto dipendenti dalla terapia: magari tendono a fare pochi progressi, o a procedere lentamente.Attenzione, non significa che chi procede lentamente in terapia è dipendente da essa! Assolutamente no: ci sono problemi che, per essere risolti, devono procedere per gradi.
Significa, invece, che sono persone che, in quel particolare contesto, hanno difficoltà a svincolarsi dalla terapia, magari perché temono che con le proprie gambe non ce la faranno.Anche qui, naturalmente, noi psicologi siamo allenati a questo. Come detto, lo scopo è quello di far sì che tu non abbia bisogno di noi (così come lo scopo del meccanico è far sì che tu non debba passare da lui ogni settimana).
Terapia al bisogno
Il punto è che alla fine la terapia deve diventare qualcosa di cui fruire “al bisogno”. Questo ad esempio è uno dei motivi che mi ha spinto ad andare in California e in Australia per studiare (e importare poi in Italia) la Terapia a Seduta Singola.
L’idea è che, mentre per alcuni problemi c’è sicuramente bisogno di lavorare per più incontri, per altri ne può bastare uno solo, e la persona può rivolgersi a un terapeuta esattamente quando ne ha bisogno, per il tempo di cui ha bisogno, e non per forza per percorsi di “più sedute”.
Ma come si evita la dipendenza dalla terapia? Paradossalmente, affidandoti al terapeuta.
Dalla terapia alla vita quotidiana
Che non significa “lasciarti cadere nelle sue braccia”: significa piuttosto “impegnarti nella terapia”.
La terapia è un processo a due, una partita di tennis a coppie, in cui da una parte ci siete tu e il terapeuta, e dall’altra parte c’è il problema (il che è già un vantaggio: siete due contro uno). E in questa partita tu e il terapeuta dovete giocare insieme: non può fare tutto lui, non funzionerebbe. Se pensi che “Va beh, lui è l’esperto, io lo lascio giocare” stai sbagliando strategia.
Anche perché quando esci dalla seduta con lui, la partita di tennis non si interrompe: continua. Solo che stavolta siete tu e il problema. Quella seduta di terapia ti dovrà quindi servire a capire come batterlo nella vita di tutti i giorni.
Questo è uno dei motivi per cui, almeno nelle Terapie Brevi, vengono dati compiti e strategie (come ho spiegato in questo video): servono per far sì che, nelle partite contro il problema che giocherai fuori dallo studio dello psicologo, potrai avere delle risorse in più da utilizzare.
E questo è il primo segreto per imparare a fare a meno dello psicoterapeuta.
Prova con le tue risorse
Io faccio sempre questo esempio: se devi cambiare l’acqua all’automobile, prova da solo. E magari poi prova anche con l’olio, e con i tergicristalli, e anche con le ruote. Sono tutte cose che puoi provare a fare per conto tuo, e magari scoprirai di essere in grado di farne anche altre.
Lo psicologo è una figura fondamentale nella nostra società, perché il suo lavoro si centra sul capire come funzioniamo, e quindi anche come funzionano i nostri problemi e come si possono risolvere. Diventa importante, quindi, rivolgersi a lui nel momento del bisogno.
Ma, prima, puoi provare con le tue risorse: farai sempre in tempo ad alzare la cornetta e a chiamarlo dopo qualche giorno/settimana.
Quando la terapia non funziona
E se il problema è la psicoterapia? Se sei già in terapia e non sta andando bene?
Quest’ultimo punto è molto, molto delicato. Perché, innanzitutto, “non sta andando bene” è un termine da chiarire.
Pur praticando e studiando da anni le Terapie Brevi, addirittura la Terapia a Seduta Singola, sono il primo a dire che non tutti i problemi possono essere risolti in una o anche solo in poche sedute.
Attenzione, la durata non dipende necessariamente “da quanti anni” hai quel problema, perché magari ce l’hai da tanti anni, lo hai trattato (senza successo) con diversi psicoterapeuti, ma… trovando la terapia e il terapeuta giusti lo risolvi in pochi incontri. Può dipendere da quanto tempo te lo porti dietro, ma in generale dipende anche da altri fattori – tra cui le risorse interne ed esterne di cui disponi al momento in cui ti rivolgi al terapeuta.
Questo era per dire che magari una terapia sembra che non stia andando bene perché ci si mette un po’ a risolvere definitivamente il problema, ma in realtà dipende dal fatto che per quel problema, appunto, ci vuole un po’.
Però, il punto rimane: ci sono terapie che “non stanno procedendo bene. Come te ne accorgi?
Accorgersi del miglioramento
Facile: se non vedi miglioramenti. “Miglioramento” non vuol dire “risoluzione”, quindi può darsi che in 5 incontri non hai risolto il problema. Ma se in 5 incontri non hai visto nemmeno un miglioramento… beh, qualche dubbio io me lo farei venire.
Posto che ci sono terapie e terapie, e che alcune di esse dichiaratamente non ottengono risultati in tempi brevi, a mio parere se per una serie di incontri non ci sono dei miglioramenti, seppur timidi, allora ci si deve domandare se quella terapia sta procedendo per il meglio.
Il mio suggerimento è, innanzitutto, parlarne con il terapeuta. Può capitare che questo ci faccia notare che, in effetti, dei miglioramenti ci sono stati, ma non ce ne siamo accorti. Oppure che gli obiettivi che vi siete dati sono cambiati, e che dovreste riallinearvi.
Detto questo, però, io credo molto nel fatto che tu stai fruendo di un servizio (la psicoterapia), un servizio che ha mostrato a più riprese di essere in grado di risolvere in tempi brevi molti problemi: non tutti, ma molti. E che deve dare prova della propria efficacia. Se quindi la terapia procede, ma tu non vedi dei miglioramenti, parlane col terapeuta e, se continui a non essere convinto, fai la tua scelta: valuta se cambiare terapeuta.
D’altronde la psicoterapia si basa su una relazione di fiducia e di aspettativa positiva: se queste due vengono meno, i risultati che potrà dare saranno sicuramente più scarsi.
Dr Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola
Ipnosi
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